Analemma solare in Piazza Grande a Oderzo. Funge da calendario grazie all'ombra proiettata dalla cuspide più alta del Duomo.
Meridiana settecentesca visibile sulla parete sud della chiesa parrocchiale di Piavon di Oderzo. Segna le antiche ore italiche.
Human Sundial in una nuova scuola a Lafayette (Louisiana, USA). Serve l'ombra di una persona per mostrare l'ora esatta.
Vada al diavol colui che inventò l'ore,
e primo pose qui quest'orologio
(Plauto, Boeotia)
Conosco la mia età, posso dichiararla,
ma non ci credo: nessuno si riduce
alla semplice apparenza della sua età
fintantoché gli rimane un po’ di consapevolezza
(Marc Augé)

Il musicista di natali mottensi Andrea Luchesi (Motta di Livenza, 1741 - Bonn, 1801), dopo il periodo di formazione e affermazione come compositore e organista in ambito trevigiano e veneziano, fu chiamato appena trentenne a Bonn dal Principe elettore Arcivescovo di Colonia e assunse di lì a poco la carica di Maestro di Cappella di quella Corte, alla morte nel 1774 del precedente Kapellmeister Ludwig van Beethoven (nonno omonimo del Beethoven che tutti conosciamo) e ne resse le sorti per vent'anni fino al 1794.
Alla reputazione di cui godette in vita e ad alcuni studi primo novecenteschi che avevano conservato memoria critica della sua opera, seguì su di lui e sulla sua musica una dimenticanza ingiustificata, rotta in Italia nel 1994 da una battagliera monografia "Andrea Luchesi. L’ora della verità" (Grafiche Vianello, Ponzano Veneto) di Giorgio Taboga (1933-2010), che fornisce una prima base alla riscoperta dell’opera musicale di Andrea Luchesi e innescherà almeno le prime incisioni di sue composizioni sacre, strumentali e sinfoniche e un nuovo interesse di musicologi e direttori di orchestra verso l'autore.
Nell'ultimo decennio è ormai arrivato alla VII edizione (2025) il Festival Luchesi che si tiene annualmente a Motta di Livenza. Da alcuni anni è in corso la pubblicazione dei lavori superstiti di Andrea Luchesi, compositore di musica sacra e teatrale, di cantate e serenate, di musica sinfonica e cameristica, da parte di Diastema Editrice. Infine è in stampa nel n. 11 della rivista Archivio Storico Cenedese la prima monografia completa italiana su Andrea Luchesi, accompagnata dal catalogo delle opere, di Agostino Taboga, frutto non solo del confronto con gli studi, ma anche e soprattutto di rinnovate ricerche e rinvenimenti negli archivi italiani, tedeschi ed austriaci.

Ora prestigiosamente si aggiunge l'iniziativa del Conservatorio di musica di Castelfranco "Agostino Steffani", in collaborazione con Fondazione Benetton, che porta il prossimo 7 novembre al convegno "Andrea Luchesi e il suo tempo" a Palazzo Bomben di Treviso e allo speciale concerto nella chiesa di San Teonisto in cui l'Orchestra barocca di Cremona diretta da Giovanni Columbro eseguirà una selezione de "L'Isola della Fortuna”, opera con cui Luchesi aveva debuttato nella chiesa di San Samuele a Venezia nel 1765.
Durante il convegno – coordinato da Alessandro Borin e Maria Giovanna Carugno, docenti dei Conservatori di musica di Castelfranco Veneto e Benevento – verrà presentata l'edizione critica delle opere di Andrea Luchesi a cura di Agostino Taboga e tre musicologi italiani contemporanei tratteranno delle recenti prospettive di ricerca intorno a Luchesi: Federico Furnari (Università di Milano) della vita musicale nella Bonn di Luchesi; Lorenzo Mattei (Università di Bari) dell'opera comica al tempo di Andrea Luchesi e Davide Mingozzi (Conservatorio di Genova) della produzione operistica di Luchesi.
Troverà spazio anche la presentazione del progetto di studio «Bertati secondo Da Ponte: il caso della ricezione de L'isola della fortuna di Bertati-Luchesi», curato da tre ricercatori (Alessandro Malavasi, dottorato in storia, critica e conservazione dei beni culturali Università di Padova, Ilaria Scarponi e Marta Pacchin, dottorato di interesse nazionale “Artistic Research on Musical Heritage” Conservatorio di Castelfranco Veneto) che, esplorando i libretti d'opera del tardo Settecento, istituiranno un confronto tra L’isola piacevole / L’isola del piacere di Lorenzo Da Ponte (per Vicente Martín y Soler) e L’isola della fortuna (1765), scritto da Giovanni Bertati per Andrea Lucchesi.
Durante il concerto serale insieme all'Orchestra barocca di Cremona diretta da Giovanni Columbro si potranno ascoltare i soprani Marcella Di Garbo, Eleonora Marenzoni e Bianca Beltrami, il tenore Denis Rraboshta e il baritono Davide Rocca.
Sicuramente un appuntamento da non perdere, soprattutto dagli appassionati della musica secondosettecentesca (ma non solo), oltre che da accademici e musicisti...
È disponibile per l’acquisto in libreria o direttamente dal sito (ascenedese.it/), il numero 10 della rivista annuale Archivio Storico Cenedese, Journal of local hystory in global context, come promette il nuovo sottotitolo della testata per i saggi, le comunicazioni, le brevi e le recensioni che compaiono nel ponderoso volume.
Il traguardo del decennio è salutato anche dal riconoscimento ottenuto nel 2024 dall’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) come rivista scientifica per l’area 10 (Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche) e l’area 11 (Scienze storiche, filosofiche e pedagogiche).
Paolo Feltrin
Tra gli Studi & ricerche è in forte evidenza il voluminoso saggio di storia contemporanea di Paolo Feltrin, A partire da due diari. Potere, forza, comando nei conflitti tra contadini e borghesia di paese (1943-1948), teso a valutare con strumenti storiografici, politilogici e sociologici la crisi del passaggio dalla dittatura alla democrazia, entro il quale hanno agito il ceto politico e militare, i ceti intellettuali, le classi sociali e gli individui. Nella prima parte si ricostruiscono antecedenti e conseguenze dell’uccisione del capo partigiano Vittorio Silvio Premuda da parte di altri partigiani, nel quadro delle mille ambiguità che inevitabilmente avvolgono i conflitti di questo tipo, specie nel mondo contadino di pianura. Nella seconda parte è ricostruita un’altra esecuzione, quella di Arrigo Bernardi, un intellettuale fascista di paese. Nella terza parte, a partire dalle elezioni dell’immediato dopoguerra (1946-48), si analizzano i comportamenti delle popolazioni rurali a cominciare dalle logiche di azione di chi vive in regime di sopravvivenza. Infine, nella quarta parte, è proposta una chiave di lettura dei modi con i quali si pone termine ad eventi tanto tragici. Il filo conduttore che attraversa l’intero lavoro è il rapporto tra élite e popolo, tra il mondo di sopra e il mondo di sotto. Si tratta di un tema su cui di solito si preferisce sorvolare occupandosi o solo delle classi dirigenti, degli intellettuali e degli artisti oppure, in alternativa, studiando unicamente gli usi e costumi del mondo rurale, come se i due mondi non convivessero fianco a fianco, nelle stesse strade e nelle stesse osterie di paese, seppur divisi da mille invisibili barriere. Barriere che improvvisamente si dileguano nei momenti di crisi di un regime politico e di assenza di un potere riconosciuto.
Elisa Possenti, Martina Andreoli, Giovanni Tomasi, Dario Canzian
Nel numero 10 trovano posto, con un bel salto cronologico all'indietro, tre rielaborazioni dei contributi di Elisa Possenti e Martina Andreoli, di Giovanni Tomasi, di Dario Canzian, al Convegno di Studi Castelnuovo di Corbanese storia e indagini archeologiche nel 2022. Possenti e Andreoli offrono una panoramica del fortilizio basata su prospezioni e misurazioni: mura, porta protetta da due semitorri, mastio e altre strutture interne, con indicazioni di un possibile belfredo o comunque un punto di vedetta sito a valle, su un cocuzzolo ad Ovest, giusto sopra il corso del torrente Cervano. Giovanni Tomasi studia i documenti del periodo 1170-1307, rivela l’importanza della “via del Cervano”, tratteggia le figure dei feudatari proprietari del maniero e consorti di Conegliano ed infine offre un resoconto sui beni vescovili a Tarzo e dintorni. Dario Canzian (Le spine del primo dominio veneziano sul Cenedese) riporta le notizie sul periodo successivo sino al 1342, che videro la lunga diatriba tra il Comune di Conegliano, asserto proprietario del castello per diritti feudali del 1195 ed il vescovo di Ceneda Francesco Ramponi effettivo proprietario per il noto scambio avvenuto nel 1307 tra un suo predecessore, Francesco Arpo, e il conte Tolberto da Camino.


Manoel Marorese
Il saggio di Manoel Maronese sposta l'attenzione al 1500 (Shared themes and poetical influences within the 16th Century Opitergina res publica literarum), Temi condivisi e influenze poetiche nella res publica literarum opitergina del XVI secolo), indagando la produzione poetico-letteraria dell’ambiente umanistico opitergino del XVI secolo, con un focus sui carmi latini di Ottavio Melchiori e Gian Giunio Parisio. Attraverso l’analisi di testi inediti conservati nei manoscritti 1428 e 1438 della Biblioteca Civica di Treviso, emerge una fitta rete di scambi e influenze tra i membri della cerchia intellettuale locale. In particolare, l’articolo esamina la variazione di alcuni motivi poetici originali, come, per esempio, il cosiddetto “tema del ponte”. L’identificazione di possibili attribuzioni testuali e la pubblicazione in prima edizione e traduzione di tre componimenti offrono nuovi spunti sulla vitalità della res publica literarum opitergina, presentata come un laboratorio creativo rinascimentale in cui si fondono tradizione e modernità.
Le "Comunicazioni" di Fulvia Mainardis e Marco Callegari
A Fulvia Mainardis spetta far luce sul rompicapo di un epitaffio: un'iscrizione aquileiese di L. Accius M. f. ritenuta genuina da Theodor Mommsen, identificabile invece come un falso materiale, ispirato all’iscrizione genuina di Panvinio ma attribuibile ad Oderzo e non ad Aquileia [Ex Aquileiensibus inter Opitergina (epigrammata): l’epitaffio di L. Accius M.f.]. Marco Callegari esamina la corrispondenza del nobile dalmata Giovanni Bizzarro (1782–1833) con il nobile opitergino Giulio Bernardino Tomitano. Vi risalta una vivace attività culturale, inclusi progetti editoriali e la creazione di una pregiata collezione di edizioni Cominiane, venduta nel 1817 prima del rientro in patria per dedicarsi alla gestione delle proprietà familiari. La vicenda illumina aspetti della circolazione culturale e del collezionismo librario tra Venezia e l’Adriatico nell’età napoleonica e della Restaurazione. («Con la più distinta stima ed ossequio»: libri e poesie nelle lettere di Giovanni Bizzarro di Ragusa a Giulio Bernardino Tomitano di Oderzo).
Le "Brevi" di Matteo Venier e Paolo Spedicato
Il primo presenta Lettere e appunti grammaticali di Michele Partenio. Il secondo presenta la poesia neo dialettale di Fabio Franzin: La provincia dolente ma resistente di Fabio Franzin, poeta neodialettale di Motta di Livenza.
Chiudono questo numero della rivista alcune recensioni:
– La Pieve di San Pietro di Feletto e la teologia aquileiese, di Eva Spinazzè e Danilo Riponti
– E Vittorio divenne fascista, di Pier Paolo Brescacin
– Il Garibaldino del Borgo, di Vito Marcuzzo
– Abele Antonio Della Coletta pittore veneto, di Silvia Della Coletta e Giovanni Tomasi.
Con questo numero 10 Giampaolo Zagonel, dinamico direttore della rivista per un decennio, si commiata ripercorrendo il bilancio di quest'originale esperienza insieme con i lettori. Gli subentra Bruno Callegher, con unanime consenso della redazione.

Sabato 25 ottobre si è svolta ad Udine la cerimonia di premiazione di Irina Scherbakova − scelta dalla giuria popolare quale vincitrice della XII edizione del Premio nazionale di storia contemporanea Friuli Storia 2025 − per il suo libro Le mani di mio padre. Una storia di famiglia russa (Mimesis, 2024) e degli altri due autori indicati precedentemente nella terna dei finalisti dalla giuria scientifica, Carlo Fumian per Pane quotidiano. L’invisibile mercato mondiale del grano tra XIX e XX secolo (Donzelli, 2024) e Gustavo Corni per L'Italia occupata 1917-1918. Friuli e Veneto orientale da Caporetto a Vittorio Veneto (Gaspari, 2024).
Durante l'incontro, Irina Scherbakova, storica e germanista, co-fondatrice dell’Associazione russa Memorial, insignita del Premio Nobel per la Pace 2022, ha tenuto una lectio dal titolo La mia vita attraverso l’Unione Sovietica (→ La dissidente Irina Scherbakova: cosa spero per la mia Russia, nonostante tutto | «repubblica.it», 25/10/2026), occasione non solo per seguire il filo rosso dell'opera (insieme storica, politica e autobiografica) che intreccia nel saggio le vicende della Russia con quelle della propria famiglia, a partire dai ricordi della bisnonna Etlja Jakubson, attraversando un secolo di storia russa: dalla rivoluzione bolscevica guidata da Lenin, alle purghe staliniane, fino alle guerre dell’epoca di Putin), ma anche inevitabilmente per portare lo sguardo fino al tormentato presente dell'aggressione all'Ucraina, evidenziando le difficoltà della Russia contemporanea, il rischio di guerre ingiuste e la necessità di un intervento europeo per sostenere l’Ucraina.
La storica ha inoltre sottolineato la pericolosità di una situazione in cui la dittatura e la guerra sono state “normalizzate” dalla popolazione, additando la complessità dei cambiamenti futuri. «Non spero in cambiamenti rapidi» confessa Scherbakova. «Soprattutto, mi auguro che il conflitto in essere possa trovare una risoluzione che non sia penalizzante per l’Ucraina e non suoni come una sua sconfitta. Nel contesto dei negoziati fra Trump e Putin, l’Europa dovrebbe assumere un ruolo: l’evoluzione delle sorti sul campo con l’aiuto europeo contribuirebbe molto più di qualsiasi sanzione economica». Da molti anni – da quando ha dovuto lasciare il suo Paese – Irina Scherbakova ha scelto la Germania per vivere. «Da questo osservatorio mi sono resa conto che l’Occidente per troppo tempo ha faticato a riconoscere l’Ucraina come stato indipendente. C’era l’idea che l’Ucraina dovesse per forza restare sotto l’influenza russa, e tuttora si fatica a percepirne una vocazione indipendente e inserita nella sfera occidentale. La propaganda di Putin ha fatto il resto. Qui tanti rimandano al “dopo Putin”, e io rispondo che dopo Putin potrebbe andare anche peggio. Spero in ogni caso che Putin non finisca i suoi giorni senza un procedimento giudiziario internazionale, che lo chiami a rispondere dei crimini commessi».
Una settimana prima della premiazione di Udine, Gustavo Corni era stato ospite a Oderzo, sabato 18 ottobre, presso il cinema Turroni, per un'intensa presentazione del suo libro, dialogando con il giovane storico Giuliano Casagrande e il pubblico presente (Vedi:\18 ottobre 2024 Gustavo Corni con il libro »Italia occupata 1917-1918. Friuli e Veneto orientale da Caporetto a Vittorio Veneto» al Cinema Turroni di Oderzo)

La monografia di Gustavo Corni si concentra su un'esperienza cruciale e spesso trascurata della storia italiana: l’occupazione austro-tedesca del Friuli e del Veneto orientale dopo Caporetto. Un lavoro rigoroso, basato su fonti archivistiche e diari, che restituisce il volto complesso di un anno di occupazione militare nel cuore dell’Italia in guerra. La sua ricerca porta a compimento la ricostruzione e la riflessione – già intraprese qualche decennio fa – su un segmento della nostra storia nazionale e locale a lungo tempo tra i meno problematizzati e indagati, se non da memorie individuali di superstiti e documenti parziali via via rinvenuti e portati alla luce senza un'inquadratura storiografica generale.
Per presentare i tre libri finalisti del Premio Friuli Storia, Valerio Marchi ne aveva intervistato gli autori per il Messaggero Veneto
Non a molti è noto che Aldo Zanardo, docente di filosofia morale all'università di Firenze e storico direttore della rivista Critica marxista, mancato il 28 agosto scorso a Sesto Fiorentino, dove risiedeva, era nato ad Oderzo nel 1931.
Chi se ne ricorda conoscerà probabilmente uno dei suoi testi più letti, Filosofia e Socialismo (Editori Riuniti, 1974) e, dal punto di vista politico, l'importante intervista che fece alla vigilia del rinnovo del Parlamento Europeo ad Enrico Berlinguer, L'Europa, la pace, lo sviluppo, sul tema del futuro della Comunità europea, pubblicata su «Critica marxista», n. 1-2 del 1984.

Aldo Zanardo (coetaneo e compagno di scuola di Mario Bernardi), laureatosi alla Normale di Pisa nell’a.a. 1955-56 con una tesi su Aspetti della formazione filosofica di Carlo Marx (relatore Cesare Luporini) e poi borsista a Napoli, grazie ad una borsa di studio dell’Istituto italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce (cfr. iiss.it/member/z-archivio-borsisti/), divenne dal 1969 docente di filosofia morale all’università di Firenze per più di un trentennio.
Parallelo fu l'impegno diretto anche nell’attività politica e nell’organizzazione culturale: consigliere alla Provincia di Firenze, componente per diversi anni del Comitato centrale del Partito Comunista e, soprattutto, direttore della prima serie di «Critica marxista», la rivista teorica del Pci, guidata dal 1985 al 1991 (Nota).
Dopo la fine del Pci, divenuto Pds, che ne aveva deciso la chiusura, diede vita e continuò a dirigere, insieme ad Aldo Tortorella (cui era molto legato), la nuova serie di «Critica marxista», che prosegue a tutt’oggi le sue pubblicazioni.
Un profilo culturale di Zanardo è stato brevemente rievocato da Sergio Petrucciani nel Manifesto del 5 settembre 2025:
«Come filosofo, Aldo Zanardo era una figura decisamente originale. Il suo interesse principale era quello di approfondire, come recita il titolo del suo libro più importante, pubblicato nel 1974, il rapporto tra Filosofia e socialismo. Sebbene si fosse formato in un’epoca di ortodossie, niente era più lontano da lui del marxismo ortodosso. Da esso si distanziava perché al centro del suo pensiero vi erano (oltre a una forte attenzione per il mondo cattolico) tre tematiche profondamente intrecciate l’una con l’altra: l’etica, la libertà, l’individuo.
Con Tortorella, anche lui recentemente scomparso, Zanardo condivideva la tesi che, nonostante il realismo di cui Marx aveva sempre fatto professione, non avesse senso parlare di socialismo senza muovere da una radice etica. Di qui discendeva anche il suo interesse per il socialismo neokantiano tedesco e austriaco del primo Novecento, al quale aveva dedicato un denso studio. Ma l’etica socialista non poteva essere altro che un’etica della libertà, della libertà effettiva di tutti e di ciascuno. Il tema era fortemente presente in Marx, ma nonostante questo restava una domanda che non si poteva eludere: il marxismo aveva pensato la questione della libertà in modo adeguato, oppure certi nefasti esiti politici erano collegati anche a insufficienze teoriche di fondo?
Con questa problematica Zanardo si confronta in uno dei suoi saggi più belli: La teoria della libertà nel pensiero giovanile di Marx, pubblicato nel 1966 su «Studi storici». Scrivendo nei fervidi anni Sessanta, quando il marxismo poteva ancora apparire come l’orizzonte teorico capace di decifrare l’epoca e i suoi contrasti, Zanardo non esitava a sottolineare, accanto ai meriti, anche i limiti della visione marxiana della libertà: una visione che, per dirla in breve, gli appariva insidiata da una troppo facile e ottimistica visione dei rapporti tra individui e società.
Come se bastasse togliere di mezzo la proprietà privata e il capitalismo per conciliare e superare tutti gli antagonismi. La società moderna, avvertiva invece Zanardo, è fatta di individui differenti e irriducibili, e dunque anche conflittuali. Ed è necessario un grande scavo teorico per capire se e come in essa possano ancora trovare ascolto le istanze solidaristiche che furono proprie della tradizione socialista».
Nota
>>> I contributi teorici e politici di Aldo Zanardo (Vedi)
Qui si torna. Da qui si riparte. Ogni anno.
«Impressioni di Settembre non è soltanto una canzone: è un varco, una specie di Stargate»
>>> Impressioni di settembre (1971) ... se non è storia questa! >>>

Dal 20 luglio al 28 settembre 2025 al Meve "Memoriale Veneto della Grande Guerra" è allestita la mostra Grande Guerra Volti Momenti Relitti che espone una selezione - operata dallo stesso artista e donata al Comune di Montebelluna - di 40 dipinti realizzati nel 2018 da Paolo del Giudice, recentemente scomparso.
La mostra è un omaggio al suo viaggio artistico che ha guardato al mondo con grande maestria e sensibilità attraverso la lente del colore e delle forme. Sono immagini tratte da fonti storiche (ritratti, paesaggi segnati dalle distruzioni, scene di vita e combattimento), ma la trasfigurazione delle figure dei protagonisti della guerra, soggetti e luoghi, evoca la fragilità umana di fronte agli stravolgimenti di un conflitto che fu un'esperienza traumatica collettiva senza precedenti. Sfilano i volti (dal soldato semplice ai generali, da Francesco Baracca alla madre del Milite Ignoto), la vita di trincea e paesaggi di guerra, con particolare riferimento alle vicende susseguenti a Caporetto e alla distruzione di chiese e monumenti.
La rielaborazione del passato attraverso il medium pittorico e figurativo dei contenuti storici, in un rapporto comunque stretto con fonti storiche, soprattutto iconografiche, ottiene di trasferire il passato in una dimensione, se non senza tempo, certo di universalizzazione del momento storico determinato che può perennemente interrogare anche il presente: immagini iconiche che si alzano dal piano della cronaca al continuum della vita e delle azioni umane.

[ memorialegrandeguerra.it ] Nato a Treviso nel 1952, si avvicina alla pittura in giovane età con riprese dal vero di paesaggi. Dal 1968 sposta il suo interesse sulla figura umana, che affronta in chiave espressionista. Nel 1970, all’età di 18 anni, ottiene il primo premio alla X edizione della Biennale Triveneta d’Arte di Cittadella.
Si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove incontra artisti come Viani, Bacci, Vedova e partecipa alle iniziative della Fondazione Bevilacqua la Masa, che lo vedranno coinvolto tra il 1973 e il 1983 in esposizioni personali e collettive in Italia e all’estero.
La sperimentazione che contraddistingue i linguaggi artistici degli anni Settanta lo conduce ad abbandonare la pittura a favore della ricerca multimediale: sviluppa assemblaggi di reperti fotografici della vita quotidiana, manipolati attraverso il mezzo serigrafico e il successivo intervento pittorico. Da questo momento il rapporto con la fotografia diventa ineludibile nel suo lavoro, anche in seguito al ritorno al medium pittorico.
Nel biennio 1982/83 realizza due grandi dipinti murali sulle facciate esterne di edifici pubblici a Venezia e Marghera; a Venezia espone con continuità alla storica Galleria Santo Stefano e alla Galleria La Fenice. Negli anni successivi si allontana dalla figura umana, iniziando un’indagine sui luoghi della vita, dell’arte e della memoria che lo vede coinvolto tuttora. Ne sono risultato la rassegna di Oggetti (esposta alla Galleria Avida Dollars di Milano nel 1985), i grandi altari veneziani (esposti l’anno successivo all’Attico di Fabio Sargentini a Roma) e il ciclo Archeologie, dove ai fantasmi dell’arte passata, soprattutto barocca, si sovrappongono tracce e relitti della realtà umana e urbana contemporanea.
Nel 1991 inizia la collaborazione con lo Studio Gastaldelli di Milano. Sono numerose le esposizioni dedicate alla sua opera: dall’ampia retrospettiva Dieci anni di pittura nelle sale di Villa Brandolini a Pieve di Soligo (2000), alla spettacolare Biblion nel Salone Abbaziale di Sesto al Reghena, alle personali a Milano, Roma, Bologna e in altre città italiane.
Elabora cicli pittorici dedicati a temi specifici (come Pier Paolo Pasolini: volti 1988 – 2005, presentato nel 2006 presso il Palazzo Ducale di Mantova, e l’importante affondo visivo nella vita e nella cultura italiana raccolto nel ciclo Viaggio in Italia del 2006-2007). Alla sua città natale dedica l’evento Percorsi dipinti – sguardi quotidiani su Treviso (2011), un’esposizione diffusa in nove sedi del centro storico, tra chiese, musei e spazi pubblici, mentre in Inseguire Venezia – dipinti 1969- 2017 (Centro Culturale Bafile, Caorle) l’artista si confronta con la città lagunare e la sua immagine stratificata nei secoli.
Nel 2018, in occasione del Centenario della Grande Guerra, presenta il ciclo Grande Guerra – volti, momenti, relitti presso il Forte Mezzacapo di Zelarino e nel Museo della Battaglia a Vittorio Veneto (ripreso successivamente nel 2021 alla Galleria Sagittaria di Pordenone). Le immagini (ritratti, paesaggi desolati, scene di vita e combattimento), tratte da fonti storiche, sono trasfigurate attraverso una pittura che confonde i contorni e le identità, i soggetti e i luoghi, in un viluppo di materia e gesto da cui affiorano, come in una rimembranza, le figure tragiche dei protagonisti della guerra.


Si riapre agosto e molti di noi saranno o si improvviseranno - come ogni anno - dei "menarósti".
Ripropongo la leggera meditazione fatta nel 2020 nel primo lockdown causa covid. Ma non ha perso motivo per rileggerla.
Ho aggiornato vari link, che nel frattempo erano interrotti.
Menarósto, il girarrosto, addetto agli spiedi su brace, ha il suo grande proscenio nelle grigliate estive e in ogni festa patronale o delle proloco che si comandi. Quest'anno, anche su terrazze e giardini di casa, causa lockdown e susseguente momento liberatorio attuale (forse...). Gran rispetto per la grande professionalità di alcuni (pochi) o almeno la passione di altri (i più) ... ma quando ognuno di noi si accingerà a girare l'arrosto suo non dimentichi di poter essere un "menarosto" anche in altro senso, non referenziale, di "girare a vuoto".

Menarósto detto di un individuo - fuori del lavoro al braciere e allo spiedo - non ha preso una piega neutra o positiva, ma invece negativa: inconcludente perditempo o chiaccherone instancabile, persino seccatore noioso. Si equipara a roda (da molin), anch'esso detto di chi parla a lungo senza stancarsi (linguaveneta.net/Dizionario-Veneto-italiano-Piccio). Menarósto, però, in veneziano arriva a significare "disobbediente, impertinente, birichino” (skardy.it/news/82-niente-in-ordine-tuto-fora-posto-menarosto).
Godiamoci un po' di riferimenti all'uno e all'altro significato.
Davide Drusian sta presentando la sua recente pubblicazione "Il diario di fra Benvenuto Grava e altre testimonianze inedite sull'occupazione nazifascista a Motta di Livenza" in una serie di incontri serali in varie sedi della zona. Ha cominciato il 4 aprile all'auditorium di Rustignè di Oderzo, proseguendo poi l'11 aprile alla biblioteca comunale a Motta di Livenza, il 28 nella sala parrocchiale di Sant'Anastasio di Cessalto. Per chi non ha potuto ancora partecipare i prossimi appuntamenti saranno giovedì 8 maggio salle 20.45, presso il parco festeggiamenti di Malintrada di Motta di Livenza, e venerdì 16 maggio alle 20.45, all'auditorium comunale di Meduna di Livenza.
Il libro tratta del rastrellamento per rappresaglia che l’esercito tedesco mette in opera il 15 settembre 1944 a Ponte di Piave, Oderzo, Motta di Livenza e alcuni paesi della Bassa friulana, prelevando - soprattutto fra gli abitanti altolocati dei singoli paesi - cinquantaquattro ostaggi che vengono imprigionati nelle prigioni della caserma “Scipio Slataper” di Sacile. Vi resteranno per dodici giorni, in angosciosa attesa che i partigiani della zona rimettano in libertà quattro ingegneri tedeschi, addetti al controllo della linea ferroviaria, catturati a inizio mese. Fra Benvenuto Grava, padre guardiano dei frati francescani di Motta, è uno degli ostaggi e redige un diario scrupoloso di quella detenzione. Riportando giorno per giorno tutto ciò che accadde, il frate lascia un documento storico fondamentale per comprendere le ansie e le paure che si vivevano nel territorio dell’Opitergino-Mottense durante la guerra, con le nefandezze dei nazifascisti a far sempre da macabro sfondo.
Giacinto Bevilacqua, titolare delle edizioni Alba, ha inviato al blog degli storici del Friuli occidentale "lastorialestorie" un capitolo rappresentativo del libro di Davide Drusian con la foto di fra Benvenuto, la foto del ritrovo degli ostaggi nel 1954 e una foto d’epoca della Caserma Slataper di Sacile, a cui rinviamo | storiastoriepn.it/il-diario-di-fra-benvenuto/

Fra Benvenuto, classe 1903, originario di Revine (TV), entrato a undici anni in collegio a Monselice e a sedici in noviziato a S. Pancrazio di Barbarano, nel 1920 emette la prima “professione” e nel 1925 professa solennemente a S. Bernardino in Verona.Il Cardinale La Fontaine lo ordina sacerdote il 21 luglio 1929 ai Tolentini di Venezia. Fatta eccezione per i sei anni trascorsi tra il convento di Lonigo e quello veneziano di San Francesco della Vigna, fra Benvenuto Grava spende la sua vita religiosa tra Gemona (dove morirà nel 1984) e Motta di Livenza, in qualità di insegnante e superiore. Durante il secondo conflitto mondiale è appunto guardiano della Basilica mottense e subisce, per mano tedesca, la triste sorte della prigionia. Il ritrovamento inaspettato del suo diario, ricco di dettagli storici e aspetti umani finora ignorati, apre una pagina inedita sull’occupazione nazifascista a Motta di Livenza. |
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Grazie al recupero del repertorio di Giulio Ettore Erler progressivamente avvenuto negli ultimi anni, viene riproposta una nuova mostra completa delle sue opere, articolata in ben quattro sedi espositive d'eccezione visitabili fino al 25 giugno 2025.

L'esposizione propone quattro sezioni, coinvolgendo le sedi Portobuffolè, Oderzo e Treviso:
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