Critico d'arte e storiografo, fu scolaro e poi collega del Cesarotti a Padova. Tradusse Ovidio e Voltaire.
Il nocciolo più tipico della sua eleaborazione culturale si trova nel Ragionamento in cui si prova che l'educazione morale delle Nazioni è meglio affidata alle instituzioni poetiche di quello che alle filosofiche, incluso nei «Saggi scientifici e letterari dell'Accademia di Padova» (I, 1786). In esso egli sostiene che «la poesia è così essenzialmente utile alla società e al costume, che le verità morali religiose civili dovrebbero insegnarsi col linguaggio della poesia, che è quello del sentimento e della fantasia, più tosto che col linguaggio della filosofia. I filosofi formino la scienza arcana dei condottieri e dei capi delle nazioni: ma "qualor si tratta d'istruire un'intera nazione nelle massime della vita e generare in essa un forte senso della virtù e del dovere, al linguaggio dei filosofi si sostituisca la voce dei poeti, come il mèzzo di necessaria comunicazione, che leghi questi due estremi tanto tra loro disgiunti: popolo e filosofia"» (Giulio Natali, Il Settecento, Parte prima, 5a edizione, Vallardi, Milano, 1960, pp. 498-499).
Posizione, questa del Gardin, da contestualizzare - per essere compresa - all'interno della riflessione in quella fine secolo XVIII sul rapporto tra facoltà intellettive e raziocinanti e facoltà immaginative (del sentimento, della fantasia, ...), rispetto all'«apprensione» del vero, del buono e dell'utile, e del bello, da cui diramano contrastanti concezioni conoscitive e psicologiche, morali e civili, estetiche (neoclassicistiche o preromantiche).
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