Il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero, monaco agostiniano, da tre anni professore di teologia all'università di Wittenberg (in Turingia), affisse sulla porta della chiesa del castello di questa città un documento con 95 tesi in cui criticava la prassi della vendita delle indulgenze e il ruolo delle autorità ecclesiastiche, in particolare del Papa.
L'affissione di un tale documento doveva precedere una pubblica assemblea in cui Lutero avrebbe difeso le proprie affermazioni, una prassi allora corrente nei centri universitari. Alcuni storici sostengono invece che le 95 tesi furono inviate, in quel giorno, ai vescovi interessati e che furono diffuse solo dopo la mancata risposta dei vescovi.
Anche se non sembrano esserci prove certe né per l'una né per l'altra versione dei fatti, il 31 ottobre 1517 è, in ogni caso, considerato l'inizio della riforma protestante (← Davide Maria De Luca, La riforma protestante iniziò con una notizia falsa?, «ilpost.it», 31.10.2017 | ilpost.it/lutero-95-tesi)
Non è qui la sede per riandare alla storia della Riforma luterana e della Controriforma cattolica, sulle quali esiste una sterminata serie di studi lungo i secoli. Peraltro nel 2017, in occasione del Cinquecentenario, c'è stato un fiorire di convegni, anche interconfessionali, e di pubblicazioni, che hanno rianimato il confronto storico e culturale. Merita invece ricordare come nei territori della Repubblica veneziana si diffuse la Riforma e si tentò di reprimerla e rintuzzarla. Com'è interessante richiamare personaggi che hanno agito nel nostro territorio ed eventi che hanno coinvolto le nostre comunità nel XVI e XVII secolo:
Girolamo Aleandro (Motta di Livenza, 1480 - Roma, 1542)
Fu inviato in qualità di nunzio pontificio in Germania (1520) per pubblicare e far eseguire la bolla papale Exsurge Domine, ed ottenne, nella dieta di Worms (1521), la messa al bando di Lutero.
La Bulla contra errores Martini Lutheri et sequentium di papa Leone X, altresì detta Exsurge Domine, pubblicata il 15 giugno 1520, costituiva la risposta con cui la Chiesa cattolica condannava sia le Novantacinque Tesi sia gli scritti di Martin Lutero successivi. Oltre a pretendere ufficialmente la ritrattazione, entro sessanta giorni, di 41 delle sue 95 tesi e di altri errori indicati nello specifico, si vietava in tutti i paesi cattolici la stampa, la vendita e la lettura di qualsiasi libro che contenesse gli errori e le eresie esposte nelle 95 tesi e si richiedeva alle autorità secolari il rispetto e l'applicazione di quanto espresso, nei loro domini.
Adriano Beretti Valentico (Valentigo, Oderzo, 1506 - Capodistria, 1572)
Al secolo Girolamo Beretti, mutò il nome in Adriano quando nel 1523 entrò nell'ordine domenicano, facendo parte della comunità del monastero di S. Domenico di Castello in Venezia. "Valentico" è il soprannome che gli venne dato dal luogo d'origine (Valentigo, nel territorio di Oderzo), dove la madre Domenica aveva delle proprietà. Negli atti del concilio tridentino è citato come "Hadrianus Venetus".
Distintosi presto per la sua preparazione come teologo, fu incaricato dell'insegnamento della metafisica tomista all'università di Padova e di ermeneutica delle Sacre Scritture. È autore del Tractatus de inquirendis puniendisque haereticis (1542), del De Eucharistia adversus Calvinum e del Contra errores Matthaei Gribaldi (1559).
Per i contatti avuti con personalità eminenti del clero veneto, alcuni dei quali sospetti di eresia, come il patriarca di Aquileia, Giovanni Grimani, e il vescovo di Chioggia, Iacopo Nacchianti, fu interrogato a Venezia nel dicembre del 1548 - in occasione del processo istituito contro quest'ultimo - da Angelo Massarelli, segretario del concilio di Trento, ma non fu mai sfiorato dal sospetto di eresia. Anzi, nel 1562 Pio IV lo nominò teologo al concilio di Trento dove intervenne durante le ultime sessioni sul sacramento dell'ordine e del matrimonio.
Dopo la conclusione del Concilio (1545-1563), fu nominato inquisitore a Venezia, con giurisdizione su tutto il territorio veneto, e nel 1566 fu insediato come nuovo vescovo di Capodistria per recuperare all'ortodossia cattolica la diocesi in cui qualche anno prima il vescovo Pier Paolo Vergerio aveva diffuso largamente i semi dell'eresia luterana prima della fuga e del suo clamoroso passaggio alla Riforma.
Vincenzo Bertoldo di Oderzo (Oderzo, ? - Ceneda, 1570)
Fu sottoposto a processo da parte dell'Inquisizione di Ceneda a seguito di una denuncia presentata contro di lui l'8 agosto 1569. La sua casa ad Oderzo fu perquisita e vi fu rinvenuta una cassa con numerosi libri proibiti (tra questi, l'Opera omnia di Lutero).
Arrestato nell'aprile 1570 insieme al suo servo Cipriano, il suo processo fu condotto dal vescovo Michele Della Torre e dall'inquisitore di Ceneda Daniele Sbarrato. Detenuto a Ceneda nel castello di San Martino, Vincenzo Bertoldo affermò che i libri erano posseduti dal fratello prete Francesco Bertoldo, deceduto.
Poco dopo questa confessione (fatta in un interrogatorio svoltosi l'8 maggio 1570) Vincenzo morì improvvisamente in carcere, presumibilmente a causa di un colpo apoplettico, l'11 maggio 1570.
* * *
La Repubblica di Venezia era, fra gli stati italiani più grandi e potenti del Cinquecento, l’unico in grado di competere con le grandi potenze come la Francia o la Spagna sullo scacchiere politico, diplomatico e militare europeo, nonché uno dei più vivaci e liberi sul piano culturale, artistico, letterario, filosofico. Fu anche lo Stato italiano in cui le idee della Riforma protestante ebbero il maggiore successo, rischiando di destabilizzare il suo stesso equilibrio politico e generando talvolta aspri conflitti con Roma sulle modalità e sulle competenze della persecuzione degli eretici.
La diffusione delle idee della Riforma fu favorita dall'ampia circolazione di libri eterodossi a Venezia sin dagli albori del dissenso luterano. Non va dimenticato che Venezia era una delle capitali dell’industria e del mercato librario. La cospicua presenza di mercanti tedeschi, gravitanti intorno al loro Fondaco, non poteva che favorire la circolazione delle opere di Lutero, che si potevano trovare nelle botteghe dei librai sin dal 1520. La città non fu solo un ambito di intensa circolazione ma anche un luogo d’edizione privilegiato dei principali testi attraverso i quali le idee della Riforma penetrarono in Italia. (si veda più estesamente, a tal proposito, in ERETICOPEDIA - Mediterranean Digital & Public Humanities, il testo di Daniele Santarelli Riforma protestante nella Repubblica di Venezia)
La gronda lagunare, con una barena attraversata da un canale minore (noto localmente come ghebo) | Fonte: upload.wikimedia.org/wikipedia/it | it.wikipedia.org/gronda-lagunare |
È disponibile sull'argomento un'interessante monografia di Alessandra Minotto, elaborata come tesi di dottorato.
La ricerca parte dall’esigenza di considerare le acque e l’incolto non solo come risorse naturali ed economiche (incolto produttivo), e conseguentemente come elemento importante per gli equilibri socio-economici delle società rurali, ma anche come risorse, occasioni, problemi di carattere politico nel senso lato del termine: si tratti di politica “inter-statuale” o di politica “intra-statale”, vale a dire di rapporti tra centro e periferia. Spesso infatti gli spazi incolti fungono anche da sorta di membrana-confine tra uno stato e un altro o tra diverse comunità, e lo studio dell’incolto si inserisce all’interno di più ampie discussioni storiografiche sul tema delle frontiere percepite in tutte le loro sfumature (politiche, economiche, giuridiche e giurisdizionali, naturali). Di conseguenza, analizzare la diffusione e lo sfruttamento, o la riduzione, di tali risorse significa anche esaminare le dinamiche giurisprudenziali atte a regolarne l’utilizzo.
L’analisi è stata condotta entro i confini geografici coincidenti con le terre della gronda lagunare meridionale di Venezia nel periodo storico che va dalla fine del Medioevo agli inizi dell’età moderna. Tra le parti in causa compaiono monasteri, comunità rurali ed esponenti dell’aristocrazia veneziana, variamente coinvolti – l’intreccio è sempre molto stretto – in questioni confinarie e in strategie di accaparramento delle risorse. In particolare, il peso giocato dagli enti ecclesiastici veneziani – fruitori e detentori di boschi, acque e valli – nelle controversie provocate da usi differenti dell’ambiente incolto perilagunare è importante, in un momento nel quale la rilevanza economica di questo ambiente appare crescente. Va segnalato infine che buona parte delle fonti proviene dagli archivi monastici, e ciò pone delicati problemi di metodo che vengono discussi nell’elaborato.
Altri testi di Alessandra Minotto
Noi Reformatori dello Studio di Padova. Concediamo licenza a Domenico Lovisa, che possa ristampare i Libri infrascritti giusto gli esemplari stampati in questa Città ne gli anni in essi annotati
Marc' Antonio Sabellico stampato nell’anno 1487.
Pietro Bembo 1551.
Paolo Paruta 1605.
Andrea Morosini 1623.
Battista Nani 1662, & 1679.
Michel Foscarini 1696.
Dat. li 28. Marzo 1718.
( Francesco Soranzo Proc. Ref.
( Michel Morofini Ref.
( Lorenzo Tiepolo Kav. Proc. Ref.
Agostino Gadaldini Segret.
I nomi dei curatori si ricavano da: p. XXIX del v. 1; p. I del v. 2; p. I del v. 3; p. [IX] del v. 5; p. I del v. 8; p. III del v. 10
Tiziana Plebani, Un secolo di sentimenti. Amori e conflitti generazionali nella Venezia del Settecento, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, 2012 | Leggi pdf | docenti.unimc.it/maria.ciotti/teaching
Un vento caldo e potente soffia nel Settecento in tutta Europa. Consegna parole cariche di energia ai figli mentre svuota quelle dei padri. Un vento nutrito di cultura, romanzi e frequentazione dei teatri, che a Venezia rende sempre più audaci i figli e le figlie. In questo libro li seguiamo mentre scrivono lettere, inviano suppliche per liberarsi da padri dispotici, sorprendono i parroci con matrimoni clandestini, rincorrono una dispensa per nozze segrete, fuggono di casa. Si appropriano di saperi giuridici ed ecclesiastici, di informazioni pratiche e di notizie per riuscire a realizzare i propri desideri. I padri invece escogitano impedimenti, chiedono correzioni e progettano matrimoni forzati. Sono anni, atmosfere, idealità che masticano poco il linguaggio dell'ubbidienza e del sacrificio: il confronto tra le generazioni è ampio e senza esclusione di colpi. La posta in gioco è del resto la libertà di vita. Il terreno dello scontro è l'amore, che in questo secolo si conquista un prezioso alleato: la cultura assegna infatti all'amore il compito di creare una comunità rigenerata e migliore. E soprattutto felice.
[a. m.] Le maggiori potenze europee (Sacro Romano Impero, Francia e Spagna) avevano formato il 10 dicembre 1508 la Lega di Cambrai (un centro del nord della Francia, ai confini col Belgio) contro la Repubblica di Venezia, decise a mantenere un'egemonia su diversi territori della penisola italiana e a spartirsi i domini veneziani. La cerchia dei nemici di Venezia era impressionante: Massimiliano I d'Asburgo (imperatore del Sacro Romano Impero), Luigi XII di Francia (re di Francia, Duca d'Orléans), Ferdinando II d'Aragona (re di Napoli e re di Sicilia), papa Giulio II (sovrano dello Stato Ecclesiastico), Alfonso I d'Este (duca di Ferrara), Carlo II (duca di Savoia), Francesco II Gonzaga (marchese di Mantova) e Ladislao II (re d'Ungheria).
Cinque mesi dopo, il 4 maggio 1509, le forze veneziane (ma dire veneziane significa "al soldo dei veneziani", poiché nessuna potenza in quel periodo storico teneva eserciti di leva e gli armati erano tutti mercenari, sia se provenienti dai propri domini interni sia se assoldati all'estero, cosicché la durata delle guerre era commisurata alla durata delle disponibilità economiche di pagarli) furono battute nella battaglia di Agnadello o della Ghiaradadda (Gera d'Adda). Non poco danno avevano arrecato le serie divisioni di concezioni strategiche emerse nel comando, suddiviso fra Niccolò Orsini conte di Pitigliano, capitano generale delle milizie, e Bartolomeo d'Alviano, governatore dell'armi, ai quali era affiancato, con il rango di Provveditore Generale, il nobile veneziano Andrea Gritti, come era d'uso nella Repubblica. Bartolomeo d'Alviano, disarcionato e ferito ad un occhio, su ordine del re Luigi non fu ucciso ma tenuto prigioniero per quattro anni (liberato quando Venezia si troverà a combattere assieme alla Francia, nel complicato gioco delle alleanze di quei tempi di rapidi voltafaccia). Il conte di Pitigliano si ritirò verso Venezia con Gritti e le truppe rimastegli, abbandonando tutti i territori occidentali di terraferma. Questa ritirata si fermò, di fatto, soltanto a Mestre. Venezia paventò l'imminente fine della propria Repubblica.
Degni di ricordo, perché influenti sull'esito finale della guerra dopo il disastro di Agnadello, rimangono due momenti di arresto dell'avanzata dei francesi e degli imperiali.
L'onda d'urto di Agnadello aveva dapprima portato il 5 giugno 1509 alla resa di Padova, ma il 17 luglio una contromossa della Serenissima aveva riportato con uno stratagemma la cavalleria e altre forze veneziane dentro la città. La riconquista aveva richiamato la discesa da Trento dell'imperatore Massimiliano per porla sotto assedio, affiancato da contingenti francesi e papali. L'assedio di Padova (difesa da Andrea Gritti, futuro doge dal 1523 al 1538) iniziò il 15 settembre 1509 e fu tolto il 30. Nell'abbandono da parte di Massimiliano pesò l'esaurimento dei fondi per pagare i suoi mercenari.
Anche Treviso, che rappresentava l'ultimo baluardo veneto che separasse Francia e Impero dalla laguna di Venezia, fu investita nel 1511 da un esercito assediante comandato dall'aristocratico francese Jacques de Chabannes de La Palice. Con singolare previdenza, già dal 1509, il Consiglio dei Dieci aveva deciso di potenziare le opere di fortificazione della città, incaricando il celeberrimo architetto militare veronese Fra' Giocondo ( ← it.wikipedia.org ). Furono costruite imponenti mura bastionate e fu deviata parte del fiume Botteniga, in modo che, sbarrato adeguatamente dall'interno in caso di assedio, le sue acque inondassero tutti i terreni circostanti le mura per largo tratto, rendendo malagevole e più facilmente rintuzzabile qualsiasi avvicinamento di armati. La resistenza trevigiana fu tenace per tutta l'estate del 1511 e non fu travolta neppure dal violento e decisivo attacco sferrato tra il 7 e il 15 ottobre di quell'anno. Il sopraggiungere della stagione fredda e le discordie sorte fra i comandi francesi e quelli imperiali portarono alla smobilitazione degli assedianti.
L’Europa e la Serenissima. La svolta del 1509. Nel V centenario della battaglia di Agnadello, a cura di Giuseppe Gullino, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, 2011 | Atti del convegno, nel V centenario della battaglia di Agnadello, promosso nel 2009 dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti con il contributo della Regione del Veneto | Leggi pdf | ivsla.it/store | istitutoveneto.it
La battaglia di Agnadello e il Trevigiano, a cura di Danilo Gasparini, Michael Knapton, Quaderni di Villa Emo 1, Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR), 2011 | edizioni.cierrenet.it | È la pubblicazione degli Atti del Convegno di studi a Villa Emo Fanzolo del 13.6.2011
[2010] Alessandro Barbero, Lepanto. La battaglia dei tre imperi, Laterza, Roma-Bari, 2010 | Leggi l'estratto |
Alessandro Barbero, Creatività distruttrice 2. Lepanto 1571 | https://youtu.be/SjG1j3ndrFU
Walter Panciera, La Repubblica di Venezia nel Settecento, Viella Ed., Roma 2014 | Reperibilità: ...
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Walter Panciera, Napoleone nel Veneto. Venezia e il generale Bonaparte (1796-1797), Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR), 2008
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Giuseppe Gatteri, Francesco Zanotto, Storia veneta espressa in centocinquanta tavole inventate e disegnate da Giuseppe Gatteri sulla scorta delle cronache e delle storie e secondo i vari costumi del tempo, incise da Antonio Viviani e dai migliori artisti veneziani ed illustrate da Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Venezia, 1863.
Nel sito storiaveneta.it e nel sito veja.it è disponibile una versione dell'opera di Zanotto-Gatteri, rielaborata e impaginata per il web da Giorgio Marenghi, corredata dalle schede storiche di Laura Poloni
→ VEDI: veja.it/storia-veneta
→ CONTINUA A LEGGERE: veja.it/storia-veneta
Di grande interesse oltre che di raffinata qualità grafica è la riproposizione del testo ottocentesco, Zanotto Francesco, Storia veneta in centocinquanta tavole inventate e disegnate da Giuseppe Gatteri, 2 volumi, De Bastiani editore, Vittori Veneto, 2017 | Reperibilità: debastiani.it/catalogo
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![]() Fonte dell'immagine: triestecultura.it |
Un nuovo volume racconta l'epopea di una regione che è caduta e si è rialzata innumerevoli volte, riuscendo sempre a riscattarsi da ogni calamità
L'INTRODUZIONE
Benvenuti nel nostro quarto millennio. Avrebbe potuto far leva su un simile intrigante slogan, un marketing veneto dedicato, ormai diciott’anni or sono, al giro di boa tra Novecento e Duemila.
Sì, perché questa regione conosciuta dall’esterno soprattutto per il glorioso ed esaltante imprinting millenario della Serenissima, in realtà può mettere in campo una storia già lunga tremila anni; oltretutto con alle spalle una preistoria remota.
Potendo inoltre contare, come anello di congiunzione tra le due epoche, su un mito di alto livello, parificato a quello della Roma “caput mundi”: anche qui, in veste di progenitore, un eroe reduce dalla guerra di Troia, Antenore come Enea. O, a voler cercare di attualizzarlo, un profugo fuggito con alcuni compagni da uno dei più sanguinosi conflitti del Medio Oriente: sbarcato su una spiaggia dopo una lunga e perigliosa navigazione attraverso il Mediterraneo su una carretta del mare; trovando una nuova terra da cui ripartire, una nuova cittadinanza da conquistare.
Con una sostanziale differenza, peraltro: se la nascita di Roma è marchiata da un delitto fratricida, la vicenda veneta si propone come un percorso di riuscita integrazione. Imprimendo così al Veneto quel Dna che è rimasto sostanzialmente integro attraverso i secoli anzi i millenni: l’accoglienza, lo scambio, il dialogo, il confronto; in una parola, l’apertura al mondo. Che troverà idealmente in Marco Polo il testimonial più genuino.
Bastano queste poche considerazioni per far capire quanto complesso sia il tentativo di proporre una storia del Veneto che non si limiti alla stra-narrata millenaria stagione della Serenissima Repubblica di Venezia e dello stra-gettonato leone di san Marco; ma cerchi di rivisitarne radici e matrici, nel tentativo (dirà il lettore se e quanto riuscito) di mettere allo scoperto le costanti che garantiscono a questa regione la sua specificità.
Operazione complessa e rischiosa, certo: specie in una turbolenta stagione come quella presente, in cui è venuta maturando una vera e propria “questione veneta” peraltro affrontata più a colpi di slogan che a scavi sul campo; e che ormai da oltre tre decenni oscilla tra rivendicazioni di autogestione e pulsioni di strappi da un’Italia vissuta da molti come nemica.
Suggerendo peraltro una domanda terra-terra, al di là delle posizioni di parte: come mai nessun’altra realtà territoriale ha rivendicato così a lungo e con forza una propria autonomia, senza mai essere finora riuscita a portarne a casa neppure una briciola?
Con tutta la dovuta modestia, questo libro vuole essere un tentativo di fornire una risposta non banale, proprio rivisitando il lungo e intricato cammino che le genti venete hanno percorso: attraverso stagioni di straordinario splendore politico, economico, sociale, culturale; ma anche di miseria, depressione, marginalità, decadenza.
Partendo da una premessa, che è poi un pensiero del grande compositore Gustav Mahler: tradizione è conservare il fuoco, non adorare le ceneri. In altri termini, esplorare il passato non per rimpiangerlo, tanto meno per cercare di riproporlo; ma semplicemente perché lì, e solo lì, c’è la mappa per esplorare il futuro. Operazione tanto più necessaria oggi, in cui una tumultuosa trasformazione sta letteralmente sconvolgendo la realtà in cui viviamo, rischiando di farci perdere le coordinate interiori e di trasformarci in naufraghi del presente: ha ragione da vendere lo scrittore Predgar Matvejevic, potente voce mediterranea a cavallo tra mondi diversi, quando sottolinea che in fondo oggi siamo tutti ex di qualcosa. Ottima ragione dunque per riproporre, in chiave moderna, l’antica e fondamentale trilogia di domande: chi siamo, da dove veniamo, e soprattutto dove stiamo andando?
Sotto questo profilo, non c’è dubbio alcuno che negli ultimi vent’anni, in questo primo scorcio di Duemila, il Veneto – anche il Veneto – sia cambiato molto più che nei precedenti venti secoli; e tutto autorizza a supporre che tra altri vent’anni assomiglierà ben poco a quello di oggi.
Cito al riguardo un’esperienza personale, maturata nella mia attività di giornalista: l’incontro con un emigrato di seconda generazione, nato in Brasile e venuto in viaggio della memoria nel Trevigiano, la terra dei padri, con una qualche suggestione di stabilirvisi a tempo pieno. Proposito quasi subito abbandonato, nella traumatica scoperta che il Nordeste brasiliano dov’era nato e dove viveva rispecchiava in realtà le radici e le tradizioni originarie dei suoi genitori molto più dell’odierno turbolento Nordest italiano.
E’ solo un piccolo periferico segnale, ma comunque indicativo, di quella straordinaria mutazione antropologica che il Veneto attuale sta attraversando, con l’impatto di uno tsunami che fa strame di certezze acquisite, schemi consolidati, stereotipi consunti. Una terra che Emilio Franzina ha efficacemente definito come quella della “transizione dolce” tra generazioni, il luogo della stabilità conclamata, la realtà individuale e collettiva fotografata nello slogan dialettale del “mi non vago a combàtar”, si è traumaticamente trasformata in un mosaico composito di culture, etnìe, valori in cui prevale la logica del conflitto.
Tracciando il lungo percorso di tremila anni dai confini con la preistoria ai giorni nostri, dall’Età del Bronzo a quella della Rete, questo libro si pone in ultima analisi un dichiarato proposito: fornire a chi lo leggerà non risposte ma stimoli. Uno, soprattutto: sollecitare i veneti di oggi e di domani a non rimanere vittime di questa rivoluzione esistenziale, ma a sforzarsi di forgiare gli strumenti per far sì che il conflitto non venga vissuto come scontro ma come confronto, facendo della diversità una risorsa e non un limite.
Ci vorranno tempo, pazienza e fatica: l’equivalente del celebre “sangue, sudore e lacrime” di Winston Churchill, in versione terzo millennio; perché la convivenza con l’altro (e perché no?, anche con se stessi) è una dura scuola in cui si apprende lentamente, per prove ed errori.
Ma è anche la sola strada per non smarrire la rotta e scongiurare un devastante naufragio sugli insidiosi scogli del presente: significa, per gli Ulisse protagonisti dell’odissea del presente, voler bene al Veneto e farne la loro Itaca, alla quale ritornare trasformati e cresciuti, senza rimpianti per ciò che è stato ieri ma con passione per ciò che diventerà domani. Per scoprire magari, come nel suggestivo “Racconto dell’isola sconosciuta” di Josè Saramago, che la caravella concessa dal re all’aspirante navigatore non è il mezzo con cui affrontare la sua ricerca, ma che nel nome stesso della nave c’è già la meta. E che quell’isola non è una remota utopia: la sta già abitando.
***
Alcune doverose istruzioni per l’uso. Partendo da un concetto che ho già chiarito in altri lavori, ma che ritengo opportuno ribadire a maggior ragione in e per questo libro. Faccio outing, come si direbbe oggi: non sono uno scrittore, tanto meno uno storico. Sono un giornalista, e come tale sono consapevole di essere esposto all’insidioso rischio a suo tempo segnalato da Gilbert Keith Chesterton: “Il giornalismo consiste principalmente nel dire ‘Lord Jones è morto’ a persone che non hanno mai saputo che Lord Jones fosse vivo”. Tradotto in soldoni: non dare nulla per scontato.
Ciò premesso, considero questo testo come un contributo a un genere giornalistico purtroppo in via di estinzione, l’inchiesta. E quindi l’ho affrontato utilizzando gli strumenti che ho appreso in mezzo secolo di attività, grazie a molte disordinate ma preziose letture, e a pochi ma ottimi veri maestri della professione. Sforzandomi di mettere assieme dati e testimonianze, aspetti noti e curiosità minori; di far parlare gli altri anziché l’io narratore; soprattutto di raccordare la narrazione al contesto per far capire la trama degli eventi e il loro significato: terreno su cui a mio personale avviso l’informazione odierna è colpevolmente carente.
Ho cercato di non ricavarne un trattato di storia, perché ne esistono già molti alcuni dei quali (alcuni…) pure autorevoli; e ancor più perché non ne ho assolutamente la competenza. Ci sono dunque diversi passaggi su cui mi sono limitato ad offrire solamente gli spunti essenziali per fornire la sequenza degli eventi: così ad esempio sulla presenza di Roma nel “Venetorum angulus”, sulle tappe principali della Serenissima, sulle due guerre mondiali del Novecento.
Ho cercato di limitare il più possibile il ricorso alle date, ai nomi, ai dettagli, per concentrarmi sulle dinamiche dei processi in atto attraverso i secoli; sulle connessioni tra i diversi ambiti politico, economico, sociale, culturale; sulle costanti che riaffiorano nello scorrere del tempo e nel mutare degli uomini.
Infine, pur consapevole di quanto scivoloso sia sempre affrontare il tema del presente, ho voluto arrivare fino ai giorni nostri per proporre una descrizione sia pure sommaria dei processi in atto; e a quel punto, superando ogni limite di prudenza, mi sono sia pur rapidamente addentrato in un tentativo di sguardo sul futuro. Mi prendo dunque l’intera responsabilità delle opinioni espresse, assolutamente personali; e faccio ammenda per i sicuramente copiosi peccati in pensieri, parole, opere e omissioni che costellano il testo. Consapevole del fondamentale limite di essere un giornalista che scrive un libro, e soprattutto un libro di storia, non mi resta che invocare per me ciò che espresse Alcide De Gasperi aprendo il suo intervento alla conferenza di pace di Parigi dopo la seconda guerra mondiale: “Prendendo la parola oggi in questa sala, sento che tutto mi è contro tranne la vostra personale cortesia”.
INDICE
CONGEDO AFFIDATO A UNA FIABA
Pubblicato su "Il Mattino di Padova" | mattinopadova.gelocal.it
Anton Friederich Büsching, teologo, filosofo e geografo, scrisse la Neue Erdbeschreibung (Nuova descrizione della Terra), un’opera di grande mole a carattere statistico-geografico divisa in undici libri, che segna un progresso sulle cosmografie precedenti: una sorta di enciclopedia geografica “Treccani” del diciottesimo secolo. È certo d'interesse per la nostra informazione storica riscontrare la trattazione dei nostri territori nel secondo e terzo tomo della Italia geografico-storico-politica, pubblicata in traduzione italiana a Venezia nel 1780.
Cristina Vendrame, Luciano Mingotto, Maria Teresa Tolotto
Oderzo Veneziana. Evoluzione urbana, città dipinta e dimore storiche
Becco Giallo Editore, 2017
Il libro propone un sintetico excursus dell’evoluzione urbana ed edilizia di Oderzo, alla luce dei ritrovamenti archeologici e dei restauri architettonici degli ultimi venti anni che hanno arricchito – e modificato – la conoscenza della storia della città. Sono inserite alcune schede riguardanti i più importanti manufatti edilizi opitergini le cui decorazioni pittoriche – di facciata e negli interni – non sono ancora state studiate in modo esaustivo e scientifico. Il taglio della pubblicazione è preciso: uno sguardo sulla “venezianità” che ha connotato l’aspetto e la forma, non solo della città e dei suoi edifici, ma anche del territorio.
In tal senso Oderzo è urbs picta come Treviso, Pordenone, Portogruaro e molti altri centri del Nordest, presentando tra XVI e XVIII secolo una splendida cortina di facciate dipinte nel corso Umberto I. Ma non vanno dimenticati gli affreschi entro i palazzi e nelle ville extra urbane come Ca’ Spineda e Ca’ Giustiniani a Busco di Ponte di Piave. Altri preziosi manufatti con facciate dipinte sono presenti nel territorio ma la ricerca si è dovuta limitare a Oderzo per la gran mole documentaria e la complessità dei temi proposti. Il volume si apre con una veloce sintesi dello sviluppo urbano di Oderzo dall’età bassomedievale ai nostri giorni, con richiami alle preesistenze di epoca romana che hanno condizionato parte della rete viaria. Segue un capitolo sulle facciate dipinte su cui sono oggi ancora riconoscibili una serie di fasi decorative e pittoriche dall’età tardogotica al XIX secolo.
Il volume presenta infine alcuni palazzi e ville con affreschi di notevole fattura che non sono noti al grande pubblico, ed è arricchito da due schede a cura di Luca Majoli, storico dell’arte, funzionario della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso.[trevisotoday.it]
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