Pomponio Amalteo nasce a Motta di Livenza da Leonardo della Motta e Natalia Amalteo nel 1505. Trasferitosi a San Viito al Tagliamento presumibilmente al seguito dello zio Marcantonio, illustre letterato e umanista, intorno al 1515 entra in contatto con il Pordenone, diventando suo allievo.
Documentato come pittore indipendente a partire dal 1529, anno in cui decora la Sala dei Notai nel palazzo del Consiglio dei Nobili a Belluno, assume ben presto un ruolo di spicco nell’ambiente friulano del tempo, imponendosi per la sua abilità nell’affresco, sorretta da una felice vena narrativa. Non meno versato nella pittura da cavalletto, è autore di numerose pale d’altare e di dipinti votivi disseminati nelle principali chiese del Friuli e del Veneto. Dopo la morte del maestro (avvenuta a Ferrara1539), ne raccoglie l’eredità, attraversando con la propria opera quasi l’intero arco del secolo.
Durante la prima fase di attività, scandita dalle seconde nozze con la figlia del Pordenone Graziosa (avvenute nel 1534), esegue numerosi lavori, tra cui i 42 lacunari che componevano il soffitto chiesa di San Giovanni Battista a Gemona e la pala votiva del Duomo di San Vito al Tagliamento: raffigurante San Sebastiano tra i Santi Rocco, Cosma, Damiano e Apollonia, l’opera, datata 1533, mostra evidenti richiami ai modi del Pordenone; inoltre nello “spavaldo” San Rocco che, elegantemente abbigliato, rivolge lo sguardo verso lo spettatore, si è soliti riconoscere l’autoritratto dell’artista.
In stretto rapporto con personaggi influenti, quali il patriarca Marino Grimani e il cardinale Girolamo Aleandro, nel 1535 l’Amalteo è incaricato di affrescare il coro della chiesa sanvitese di Santa Maria dei Battuti: un’impresa magnificamente condotta in ogni sua parte, che a detta del Vasari, gli procurò l’ascrizione alla nobiltà locale. In seguito al trasferimento del Pordenone a Venezia, a partire da quest’anno è chiamato a ultimare i cicli di affreschi lasciati incompiuti dal suocero a Lestans (chiesa di Santa Maria), a Casarsa (chiesa della Santa Croce) e a Ceneda (Loggia Comunale), avvalendosi spesso di disegni e spunti compositivi dell’illustre maestro.
Il primo lavoro di vasto impegno assunto posteriormente alla scomparsa di quest’ultimo è la decorazione del coro della chiesa parrocchiale di Baseglia (post 1544), accuratamente studiata nei particolari attraverso alcuni fogli autografi che attestano un utilizzo non occasionale di questo mezzo espressivo. Seguono il San Francesco in estasi dei Civici Musei di Udine (1545-1546), ammirato dai contemporanei per il bellissimo paesaggio, l’Annunciazione del Duomo di Cividale (1546), ricca di particolari descrittivi degni di un pittore fiammingo, la grandiosa pala della chiesa parrocchiale di San Martino al Tagliamento (1547-1549), le “portelle” pressappoco coeve dell’organo del Duomo di Oderzo (restaurate di recente) e infine nel 1549 l’impegnativo incarico di condurre a termine quelle dell’organo del Duomo di Valvasone, commissionate inizialmente al Pordenone.
Con le ante dell’organo del Duomo di Udine, licenziate nel 1555, si apre una nuova fase. Lo stile dell’artista continua a dipendere da quello del maestro; tuttavia non di rado è possibile cogliere la conoscenza della pittura veneziana coeva (in particolare delle opere di Tiziano, Tintoretto, Veronese e Palma il Giovane), mentre echi della cultura figurativa centro-italiana gli giungono attraverso la circolazione di disegni e stampe. Appartiene a questo momento la Fuga in Egitto del Duomo di Pordenone, eseguita nel 1565 per la cappella della famiglia Mantica, nella quale il soggetto religioso (ispirato ai Vangeli apocrifi) diventa quasi un pretesto per dipingere un fantasioso paesaggio disseminato di frammenti di statue, di obelischi e di architetture fantastiche.
Gli impegni civili si vengono intanto accavallando a quelli artistici e familiari: dopo aver ricoperto la carica di “consiliarius pro civibus” (1545), nel 1562 è eletto podestà di San Vito. Si susseguono anche svariati matrimoni, mentre per fronteggiare le richieste di lavoro sempre più pressanti è costretto ad avvalersi di una numerosa bottega, all’interno della quale spicca la figura del genero Giuseppe Moretto e di altri artisti che traghetteranno la sua maniera oltre le soglie del Seicento.
Nell’ultimo periodo di attività, contrassegnato ancora da importanti commissioni pubbliche e private (tra cui il grande “telero” con il Redentore in gloria, i Santi Marco, Giorgio, Lorenzo, il Luogotenente e tre deputati e l’Ultima Cena dei Civici Musei di Udine, risalenti entrambi al 1574), si infittiscono i dipinti di carattere devozionale, esemplificabili attraverso la toccante Deposizione del Civici Musei di Udine, che egli volle donare al Monte di Pietà il 20 maggio 1576.
Pomponio Amalteo muore a San Vito al Tagliamento il 9 marzo 1588. Il suo corpo, vestito “de grossissima tela” e accompagnato da “due piccole torze”, come da lui stesso prescritto nel testamento, è tumulato nella tomba di famiglia, tuttora esistente nella chiesa di San Lorenzo.
Tratto da:
Comitato Nazionale per le celebrazioni del IV centenario della nascita di Pomponio Amalteo
[https://biblioteche.cultura.gov.it/export/sites/dgbid/it/documenti/Profilo_P_Amalteo.pdf]
All'interno del prestigioso palazzo Tinghi con la facciata affrescata dal Pordenone, al secondo piano della Pasticceria Carli che vi ha sede, è possibile visitare la bellissima saletta affrescata da Pomponio Amalteo (genero del Pordenone). Coppie di putti fungono da cornice a medaglioni che contengono scene vivacizzate da una ninfa e da un satiro, vedute di paesi e di montagne. Il fregio mostra una fitta schiera di amorini contro un fondo dorato a finti mattoni, inframmezzati da girali floreali abitati da chimere e da altri fantastici animali.
Alcune foto con i particolari delle pareti affrescate | dolcicose.com/sala-affrescata-dal-pomponio-amalteo(Sito non più esistente | Collegamento interrotto)
© 2025 am+