[a. m.] L’autore si presentava così nel “Riccordo primo”: «Havendo io, Giacomo Agostinetti, servito per Fattore quarantacinque anni, trà quali quindici in Venetia, dieci in Verona, il rimanente in terra ferma in diverse Ville del Trivisano, Padoano, e Friuli, et essendo nato Fattore, mentre mio Padre servì per Fattore anni ventisette continui in sol Padrone, et a mè in vinti anni è convenuto mutar una dozena de Padroni, hò provato, visto, et osservato, molte usanze, riti, e costumi, e in particolar nella mia professione, che hà per iscopo principale l’ubbidire, e comandare con il singolar fondamento di lodevole Agricoltura, con appresso molti numerosi particolari, che ad’un buon Fattor di Villa si ricercano, che però finalmente stanco, e faccio di si laborioso impiego mi son ridotto ove nacqui l’anno di nostra salute 1597, che fù in Villa de Cimadolmo Territorio di Oderzo ritrovandomi con il peso d'anni ottantadoi, ne hauendo più forze da travagliare, & essendo (come sempre fui) nemico capitale dell’otio; hò risolto qualche cosa operare, per giovamento universale; ne havendo trovata occasione più propria alla mia conditione, che lo scrivere quello, e quanto si ricerca di sapere al buon Fattore di Villa, per ben essercitar tal carica, a prò, e beneficio de Padroni, e di sua propria lode, e così versando intorno a tale importissimo negotio, & sommo interesse hò fisso la mente, & il pensiero…».
Dopo aver servito dunque per quarantacinque anni, in qualità di fattore, una dozzina di nobiluomini in tutta la terraferma veneta dal Friuli alla campagna di Verona (a differenza del padre rimasto sempre presso lo stesso padrone), ritiratosi ottantaduenne e affaticato nel paese natìo, decise di raccontare il suo mestiere nei Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa (1679), con l'intento di insegnare non solo il modo migliore - secondo la tradizione veneta - di coltivare frumento e sorgo, di far vini bianchi o neri, dolci o "ordinari", e di coltivar asparagi, ciliegie, fichi, peri, susini, ulivi, mandorli, corniole, sorbole, zizole e molto altro, ma anche quali debbano essere i corretti rapporti tra contadini e fattori, tra padroni e sottoposti, e i segreti dell'ubbidire e del comandare con successo. Dell'agricoltura Agostinetti aveva un'altissima concezione "morale & economica", apportatrice di giovamento sia personale sia universale: «Quando considero che non c’è al mondo un’attività più antica dell’agricoltura e nello stesso tempo indispensabile perché ci fornisce da mangiare e da vestire, mi stupisco che oggigiorno gli uomini l’apprezzino tanto poco. Eppure questo è un lavoro che permette di stare lontani dalle ambizioni e dalla cupidigia e di evitare le tentazioni, perché non c’è diletto maggiore di quello di occuparsi attentamente alla cura quotidiana dei propri giardini, degli orti, dei broli e dei campi». Ulderico Bernardi, che ha curato una riedizione dei Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa (Neri Pozza, 1998), riconosce non solo il pregio del saggio scientifico, la minuziosa precisione del manuale tecnico, risultato di un impegno pluridisciplinare, ma anche «la sapienzialità etica di chi non immiserisce l'attività d'impresa nella sola ottimizzazione del profitto, ma punta a un'armonia di rapporti sociali, dove si realizzi la più generale condizione umana».
La fortuna dell'opera di Giacomo Agostinetti è attestata dalle numerose edizioni fino alla metà del Settecento, almeno otto dalla prima del 1679 a quella del 1749. Le riedizioni contemporanee sono quelle del 1998 e del 2004.
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