Bruno Darzino Caramel, nato a Oderzo (Treviso) nel 1922, era nipote del pittore Giacomo Caramel, che dopo la formazione veneziana e la partecipazione alla prima guerra mondiale era attivo in quegli anni a Milano e vicino al nascente movimento artistico di Novecento(1). Dallo zio Giacomo, Bruno poté ricevere le prime lezioni, studiando il disegno geometrico e la prospettiva e disegnando dal vero(2). Iniziata l'Accademia di Belle Arti a Venezia agì sul giovane anche l'ammirazione nutrita per il maestro romano Virgilio Guidi, chiamato a insegnare pittura dal 1927, e autore di quel quadro "La Giudecca" del 1928, presentato alla Biennale, che rimarrà una pietra miliare del suo periodo veneziano «in cui la luce meridiana ferma la sua immagine in una spazialità assoluta»(3).
Il suo talento emerse quando ventenne, nel 1942, si presentò con tre dipinti e tre acqueforti all'undicesima Mostra d'Arte Trevigiana allestita a Palazzo dei Trecento. Faceva parte di quella generazione che dovette attraversare il ventennio fascista nella fase della propria formazione morale e culturale e debuttare alla ribaltà della scena sociale e artistica nel tempo dell'epilogo tragico della guerrra e del regime. Richiamato alle armi, prese parte, fino all'otto settembre del 1943, alla Campagna dei Balcani. Nel frattempo si era meritata una segnalazione alla Mostra dell'Arte Triveneta di Venezia del 1943. Nell'anno successivo per la sua prima personale alla Piccola Galleria di Venezia, ottenne la presentazione di Virgilio Guidi. Il recensore vi trova in Darzino la qualità più pregevole nella «distesa chiarità solare segno di un'autentica e fresca meraviglia con la quale il pittore guarda alle cose e specialmente i paesaggi della sua terra trevigiana» e preannuncia - certo comparando il timbro del giovane alla «realtà tonale» della propria arte - che quella pittura giovanile, ora tendente «alle estreme risorse del colore», «acquisterà valore tonale e costruttivo» via via che questo colore «un po' meglio aderirà alla forma».
A guerra finita, fu subito dentro il fervore della rinascita culturale post-bellica con sodalizi e progetti che si proponevano di rifondare soggetti e luoghi dell'arte. Partecipò attivamente alla creazione dei gruppi culturali giovanili di Treviso, "La Rossignona" e "La Torre", promotori di mostre, incontri, conferenze e dibattiti. Di grande significato furono la prima rassegna del gruppo indipendente di giovani artisti, presentata da Giovanni Comisso, inaugurata in una sede privata, Palazzo Calzavara, nel mese di aprile 1946, e la successiva mostra del 1947, presentata da Berardino Basso(4).
Nel 1948 terminò l'Accademia, interrotta per la guerra, sotto la guida di Saetti e Cesetti, ed espose alla Biennale di Venezia, facendo altrettanto in quella del 1950. È sempre nel 1948 che s'inserisce il viaggio africano, in Eritrea, ad Asmara(5), uno spartiacque per l'evoluzione della sua pittura. A più riprese vi tornerà fino al 1951 anno del definitivo rientro in Italia. Due mostre ad Asmara (1949, Mostra d'Arte presso il Circolo Culturale Italiano; 1950, Aula Magna del Liceo "Martini") e una a Khartoum (1951) nel vicino Sudan, offrirono non solo la summa dei quadri realizzati in Africa, ma «alcuni tra i capi d'opera» dell'intera produzione dell'autore(6), «il meglio della sua ricerca»(7). Nell'intervallo dei soggiorni africani, tornato in Italia con un fascio di dipinti soprattutto di paesaggio, poté apprestare nel 1949 una personale alla Galleria Sandri di Venezia che poi fu trasferita alla Galerie St. Placide di Parigi. Nello stesso autunno si segnalò al Premio Favretto e un suo "Paesaggio di Keren"(8) ebbe il primo riconoscimento al Premio Conegliano nel 1950.
Al ritorno in Italia, non va perduta l'esperienza della diversa natura e antropizzazione africana, esibizione di una persistenza e durata mai più mutate, da lui rappresentata con solenne e sofferto lirismo pur senza rinuncia alla resa quanto più fedele possibile della realtà. Si può pensare che in costante dialettica con tale tensione profonda vadano lette anche - ma non solo per contrasto o indebolimento - i nativi «paesaggi caldi e luminosi, che si rispecchiano in acque limpide» o «la fredda desolazione di campagne sepolte dalla neve in un grigiore spettrale»(9), le presenze e le consuetudini umane nella terra trevigiana, la riflessione sulla fisionomia della città.
L'attività espositiva si svolge lungo gli anni cinquanta e sessanta principalmente nel Veneto, e particolarmente a Treviso, dove vive fino alla morte. Rendono pubblica la sua produzione e ne conservano l'accoglienza presso gli estimatori esposizioni come la personale del 1954 alla Galleria del Libraio di Treviso, la Mostra provinciale d'Arte del 1956 a Palazzo dei Trecento, la partecipazione dello stesso anno al Premio Michetti, la rassegna del 1963 alla Galleria Ghelfi di Verona ... Dalla fine degli anni sessanta resta invece traccia esteriormente di una certa stanchezza creativa, del ritrarsi dal mercato dell'arte scegliendo di esporre sempre meno. Secondo ricordi dei famigliari, s'erano insediati anche motivi ideologici nel concepire l'arte e il ruolo del pittore, che l'avrebbero portato a svalutare la propria pittura perché eccessivamente autocritico e mai veramente convinto delle sue possibilità. Vendeva i suoi quadri a poco prezzo, nella convinzione che la pittura appartenesse al popolo e non dovesse essere mercanteggiata. Chi aveva ricevuto il dono del talento non aveva diritto di usarlo per tornaconto privato.
Una breve malattia, infine, se lo portò via nel 1984.
Un'importante retrospettiva della sua opera, messa insieme nel 1991 ed esposta alla Casa dei Carraresi a Treviso, insieme con il catalogo, entrambi a cura di Marco Goldin, restano ancora il più copioso tributo riservato al pittore e il più ampio studio a lui dedicato.
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