Partigiano, medaglia d'oro al valor militare.
[a. m.] Il giovane bracciante Antonio Furlan, costretto dapprima ad emigrare in cerca di lavoro, aveva fatto ritorno in Italia poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale ed era stato chiamato alle armi. Alla proclamazione dell'armistizio, riuscito a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, fu subito attivo nell'organizzazione dei primi gruppi partigiani nell'area del Livenza (Motta, Gorgo al Monticano, Meduna e altre zone circostanti) e divenne una delle due figure (l’altro era Giovanni Girardini (← Vedi) attorno a cui si aggregarono le tipologie di resistenti locali: con il poco più che ventenne studente Girardini i "patrioti", come si autodefinivano, senza conclamate opinioni politiche o partitiche, nel solco semmai delle idee laico-risorgimentali; con il trentaduenne operaio Furlan i "garibaldini", politicizzati e spesso di sentimenti comunisti se non di radicata ideologia comunista. Girardini si era meritato il comando di una Compagnia del Battaglione "Livenza", Furlan era il commissario politico del battaglione (ridenominato Brigata "Furlan" dopo la sua impiccagione nell'ottobre del 1944). Sia l'uno che l'altro erano in contatto con l'organizzazione clandestina provinciale. Il primo attraverso Teodolfo Tessari (← Vedi), professore di storia e filosofia al liceo Pio X di Treviso, esponente del partito repubblicano; il secondo attraverso Pietro Dal Pozzo (← Vedi), responsabile provinciale del partito comunista e appartenente al CLN provinciale di Treviso.
Durante il 1944, anche Antonio Furlan e Giovanni Girardini rappresentarono dunque due figure emblematiche della duplicità della Resistenza, in cui convivevano e/o confliggevano due diverse visioni del futuro dell'Italia e - ancor più decisive nella quotidianità, data la situazione - due diverse metodologie di lotta al fascismo e ai nazisti. Le formazioni "garibaldine", a partire dalla scelta "non attendista" proclamata da Pietro Secchia fin dal novembre 1943, spingevano per azioni allo scoperto senza la preoccupazione per il sangue da versare e il condizionamento delle eventuali rappresaglie del nemico. Le altre formazioni, invece, erano su posizioni di attesa della congiuntura più favorevole alla lotta aperta e aderivano ad azioni di sabotaggio e di logoramento del nemico, purché meno gravose possibile di conseguenze per la popolazione. La diversità dei modi di agire e delle idealità che li animavano non impedì che Giovanni Girardini e Antonio Furlan, che si stimavano reciprocamente ed erano fra loro amici, a poco più di un mese l'uno dall'altro cadessero accomunati simbolicamente nella morte su un identico patibolo.
Il 13 ottobre 1944 Antonio Furlan e l’amico ventunenne Angelo Artico, anch’egli di Motta di Livenza, caddero in una imboscata, mentre passavano il Livenza, per raggiungere sulla riva opposta un casolare isolato mèta di abituali incontri tra partigiani. Saliti sulla barca di una donna che faceva questo servizio di traghettatrice, nelle vicinanze della chiesa di Lorenzaga, si avvidero a metà traversata che tedeschi della Kriegsmarine e fascisti delle brigate nere li stavano aspettando, evidentemente informati da una spia. Nella speranza di non farsi catturare, per quanto inesperti nel nuoto si erano gettati in acqua e, mentre annaspava nella corrente, Furlan era riuscito a sbarazzarsi di documenti compromettenti che aveva indosso e di una pistola; ma furono tuttavia presi e portati alla sede del comando tedesco di Motta. Furono martoriati per quattro giorni in un’alternanza di sevizie inumane1 e allettamenti di libertà. All’esterno, a chi abitava in quei pressi arrivavano le loro urla. Non rivelarono nessun nome e il 17 ottobre furono impiccati con una macabra messinscena. Gli aguzzini li fecero sfilare accompagnati da una nutrita scorta e un carro armato (per il timore di attacchi partigiani per liberarli) fino a due tralicci metallici della linea elettrica all’inizio del ponte sul Livenza, all’altezza dell’Albergo Disarò2, scelti per l’impiccagione. Affrontato il patibolo con l’estrema dignità e fermezza già mostrata sotto tortura, i corpi di Furlan e Artico furono lasciati appesi lungamente ai tralicci per terribile monito, costringendo chi transitava in quel punto di passaggio obbligato per entrare in paese a farlo sotto quelle macabre forche. Alle due salme i nazisti vietarono persino l’estrema unzione e la sepoltura in cimitero3.
Dopo l'impiccagione del proprio commissario politico, il Battaglione partigiano "Livenza", assunse il suo nome e divenne da quel momento in poi la "Brigata Furlan".
Ad Antonio Furlan fu assegnata la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
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