La cucina del riuso (2016), pubblicata dall'Accademia Italiana della Cucina nella collana “Itinerari di Cultura Gastronomica”, intende recuperare nella cucina delle tradizioni le preparazioni che, partendo da alimenti già parzialmente sfruttati, diano origine a nuove ricette e sapori. Sono rappresentate tutte le regioni. Di grande interesse per noi almeno le tradizioni venete e friulane. Ecco alcuni esempi.
Per non commettere "sacrilegio": non buttare il pane...
Se gettare il cibo era considerato “un peccato”, gettare il pane era un “sacrilegio”. Anche in questo caso la fantasia delle massaie ha fatto miracoli, in tanti casi ripetuti ancor oggi, pur se ora il pane si compra proprio per realizzare questi piatti, essendo superate completamente le motivazioni originarie.
Le prime notizie dell’utilizzo del pane “a risparmio” risalgono sempre alla Serenissima, con la panada, alimentazione principale nelle galee veneziane. Alla base vi era il biscotto, o pan biscotto, prodotto nei forni di San Biagio, già dal 1335 (composto in parti uguali da farina di frumento e semola di grano duro) e il pan “frisoppo”, cioè pan biscotto sbriciolato, elemento fondamentale per le zuppe. Durante il Medioevo, si stima in 715 grammi, a persona, la razione giornaliera di pan biscotto (ossia galletta). I documenti informano come questa razione variasse continuamente: nel 1467 (Archivio di Stato di Venezia), la ciurma aveva diritto a 24 once (un’oncia grossa = circa 40 grammi) di pan biscotto al giorno, ridotte a 18 tra il 1545 e il 1548 e riportate ancora a 24 nel 1551. Si è ricordato tutto questo, anche se le motivazioni erano diverse da quelle che successivamente originarono la cultura del completo utilizzo del pane, perché in ciò affondano le radici di gran parte delle successive elaborazioni sviluppatesi nella regione.
In Veneto, il piatto più diffuso in assoluto, che vede protagonista il pane recuperato, era chiamato anch’esso panada (“panadea”, “panà”...) e contava diverse varianti (e nomi) dovute alle caratteristiche dei territori in cui veniva confezionata. Era una specie di minestra-crema, realizzata con il pane vecchio avanzato: si prendeva il pane e lo si ammollava nell’acqua o, per i più fortunati, nel brodo, e poi si procedeva a cucinarlo, per il tempo necessario, aggiungendo un cucchiaio d’olio. Si versava la panada nel piatto e si gustava con una cucchiaiata di formaggio grattugiato, se c’era. Questa è “la versione base”, ma ne esistono molteplici altre che vedono l’aggiunta di uova o di pezzetti di coppa di maiale o di quanto fosse nella disponibilità delle cuoche, per insaporirla. Sempre e comunque, nella logica di non sprecare alcun avanzo alimentare, ma di utilizzarli tutti affinché si arricchiscano l’un l’altro. C’è poi, come sempre, qualche atteggiamento “furbesco”, adottato per eludere i precetti della Chiesa riguardo al mangiar di “magro”. Il cuoco rinascimentale Bartolomeo Scappi, nel VI libro della sua Opera, ne dà un esempio (*).
Altra preparazione, vero capolavoro del diverso uso del pane raffermo, è rappresentata dai canederli, patrimonio gastronomico delle zone montane del Veneto (e non solo). Innanzitutto il pane va tagliato a cubettini che vanno rosolati nel burro con la cipolla. Quando sono ben dorati, si versano in una ciotola capiente, si aggiungono uova e latte e si amalgama l’impasto con formaggio grattugiato. Si insaporisce, quindi, con tutti gli altri ingredienti (una volta avanzi) a scelta, che la massaia si trova in casa: altro formaggio, speck, funghi, lardo, fegato e chi più ne ha più ne metta. Una volta ridotto l’impasto in tante sfere di qualche centimetro di diametro, queste si lessano in acqua bollente e si servono con il brodo o si condiscono con burro fuso. [...]
(*) La panada dello Scappi | Piglisi mollica di pane bianco d’un giorno tagliata a dadi di grossezza d’una nocella, bagnisi con brodo magro bollente, lascisi stare per un quarto d’hora, cavisi po’ d’esso brodo, e rimettesi in brodo buono di cappone mezzo consumato, che non sia troppo salato, facciasi finir di cuocere e diasegli un poco di corpo con rossi d’ova di modo che venga quagliata e habbia quel grassetto giallo di sopra. L’estate, in luogo dell’ova pestisi seme di mellon mondo, e facciasene latte con del medesimo brodo magro et un mezzo quarto d’hora prima che s’habbia da servire, vi si metta dentro col latte, e non si lasci bollire perché aggrupperebbe. In tal panata sarà in arbitrio di mettere zuccaro fino et in loco del latte del seme di mellone si può mettere latte di mandorle facendole levare il bollo con essa panata, e nelli giorni di venere e sabbato in loco del brodo si adopererà butiro fresco lavato, et in giorno di vigilia oglio di mandorle dolci. → Bartolomeo Scappi, Opera, 1570
Il lesso alla veneziana di Olindo Guerrini | Tagliate a fette un bel rocchio di manzo lesso che vi sia rimasto. Se gli avanzi non sono presentabili, pazienza. Mettete la carne in una casseruola dove avrete arrossata una cipolletta nel burro e rosolateci il manzo rivolgendolo spesso, ma in modo di non frantumarlo. Bagnate con sugo o con un poco di brodo dove avrete sciolto con abbondanza estratto di carne Liebig o altro e unitevi mezzo bicchiere di vino bianco secco e buono. Aggiungete qualche goccia d’aceto e alquanto prezzemolo tritato con sale. Servite bollente. → Olindo Guerrini, L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa, 1918
- La cucina del riuso | accademiaitalianadellacucina.it