La Villa venne costruita molto probabilmente alla fine del 1800. Nel 1925, in concomitanza col passaggio di proprietà alla famiglia Bertoja, venne ristrutturata con ampliamento, su progetto dell'ing. Attilio Saccomani.
Dopo la morte nel 1992 dell'ultimo discendente del casato, il nobiluomo Luigi Agostino, la villa rimase disabitata. Nel 1999, dopo l'acquisto da parte di Girolamo Michelin, beneficiò di uno scrupoloso restauro, secondo le linee guida della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. Nel 2007 venne sottoposta a provvedimento di tutela «per l'interesse artistico e storico particolarmente importante ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i.».
Attualmente è una struttura ricettiva per soggiorni turistici in camere, suite o dependance (villabertoja.it)
Bibliografia e sitografia
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Il provvedimento di tutela (DDR 22/2/2007) della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici è accompagnato dalla seguente relazione storico artistica su Villa Bertoja Michelin | Leggi pdf | sigecweb.beniculturali.it/.../ICCD1010146/ICCD10477949_00364830
Ministero per i beni e le attività culturali
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province di Venezia, Belluno, Padova, Treviso
Comune di Motta di Livenza (TV)
"Villa Bertoja Michelin"
RELAZIONE STORICO ARTISTICA
Pregevole villa ristrutturata ed ampliata ai primi del XX secolo su un corpo centrale ottocentesco situata nelle immediate vicinanze del centro storico di Motta di Livenza. I caratteri architettonici dell’edificio, in linea con il perdurante gusto eclettico, fondono in un insieme armonico i motivi della tradizionale della villa veneta, quali lo schema tripartito caratterizzato dall’emergenza del corpo centrale affiancato dai corpi laterali simmetrici, i coronamenti a balaustri e statue, la pulizia della superfici murarie scandite dalla regolare disposizione delle finestre, con elementi del nuovo stile anni Venti, quali le vetrate colorate e alcuni oggetti dell’arredo interno. Particolare il prospetto di facciata caratterizzato, nel profilo superiore, da un parapetto a balaustri di coronamento (sormontato da vasi e statue apicali) e da una cornice sotto gronda decorata da fiori stilizzati dipinti entro riquadri. La villa è circondata da un ampio giardino perimetrato (nel lato del prospetto principale) da una recinzione a pilastri, sormontati da cesti di fiori scolpiti, e da una ringhiera in ferro, articolata a motivi floreali. Di fronte alla villa una fontana con vasca ovale al centro della quale, su una coppa rialzata da tre colonnine, è posta una statua femminile, il cui modello rievoca le Veneri pudiche classiche.
Villa Bertoja-Michelin pone il prospetto principale in viale Madonna, antica via Callalta, mentre quello secondario, anteceduto da un profondo giardino, su viale Venezia (nelle mappe antiche via Conca d’Oca). Si tratta del settore urbano, storicamente noto con il toponimo Borgo degli Angeli, costruito a ridosso dell’argine dell’antico alveo del fiume Monticano (deviato più a sud a fine Ottocento). Il viale che lo attraversa, risalente alla prima metà del Cinquecento, era sorto per collegare il centro storico con la Basilica della Madonna dei Miracoli.
L’originaria destinazione di tutta l’area a zona verde, a ridosso del centro cittadino, trovò continuità nel suo sviluppo, grazie alla ricchezza dei giardini privati che ivi sorsero nel tempo: quelli di villa Lippi, della cinquecentesca Casa Fonda Vaccari, dei palazzi Tagliapietra e Stradiotto e delle ville Girardini, Gardazzo e Luzzatto. Tale è il contesto in cui si inserisce anche villa Bertoja-Michelin, tra i più importanti edifici che testimoniano l’inurbamento avvenuto tra tardo Ottocento e inizio Novecento lungo questo rilevante tratto viario.
Per quanto, infatti, il suo aspetto attuale sia riconducibile ad un importante intervento di rifacimento, avvenuto nel 1925, il primo nucleo dell’edificio risale molto probabilmente ai primissimi anni del Novecento, se non a fine Ottocento.
La proprietà, appartenuta dalla seconda metà del XIX secolo alla famiglia Tagliapietra (dal 1841 a Francesco Tagliapietra fu Giuseppe), risulta essere tra il 1841 ed il 1888 in parte coltivata a vigneto, in parte a boschina dolce, inoltre, il Libro delle partite d’estimo dei possessori [...] (1851-1894) rileva la presenza di 13 gelsi, che all’epoca venivano censiti vista l’importanza di questa pianta notoriamente utilizzata per l’allevamento del baco da seta.
In una fotografia del 1899 è visibile, sul lato sinistro, un angolo di appezzamento della proprietà con i suoi cespugli boschivi. Una successiva fotografia, datata 1920, documenta l’esistenza del primo nucleo abitativo: si tratta di un edificio a pianta rettangolare, con finestre profilate da un architrave modanato aggettante, rivestimento murario ad intonaco, copertura del tetto a falde. La costruzione del primo nucleo abitativo è dunque da collocarsi intorno alla fine dell’Ottocento, verosimilmente vicina all’erezione dell’adiacente casa Montan (visibile nella menzionata fotografia), edificata tra il 1892 ed il 1895, a cui l’antico corpo di villa Bertoja è accomunabile per caratteri costruttivi e morfologia, oltre che subordinato nella disposizione assiale. Tale nucleo edilizio corrisponde, se si eccettuano poche modifiche, al corpo centrale dell’attuale edificio. Esso venne ampliato quasi certamente nel 1925, data in cui, dopo alcuni precedenti passaggi di proprietà, la casa fu acquistata dalla famiglia Bertoja-Mantovani, che ne avviò un globale intervento di ristrutturazione. Clara Mantovani e Agostino Bertoja, sposatisi nel 1923, due anni dopo le nozze lasciarono il palazzetto di proprietà Mantovani situato nel centro storico di Motta di Livenza [foto 2 bis], per trasferirsi nella casa appena acquistata, trasformando per l’occasione quello che era una sobria residenza in una lussuosa villa signorile, adeguata al loro rango.
I Bertoja erano una nota famiglia nobile, proveniente da Ceneda e trasferitasi a Motta di Livenza già da metà Ottocento, prevalentemente dedita all’imprenditoria agricola e all’attività vinicola. Con il matrimonio, Agostino Bertoja e Clara Mantovani avevano unito le risorse economiche delle loro famiglie, avviando l’azienda vinicola con il marchio Bertoja-Mantovani, la cui fiorente attività perdurerà per tutto il XX secolo (la cantina era situata in Via Ballarin a Motta di Livenza).
La visibilità della famiglia, del suo ruolo sociale e imprenditoriale, si traduce nella visibilità che i Bertoja-Mantovani conferiscono alla loro casa.
È dunque nel 1925 che al nucleo antico dell’edificio vengono aggiunte le due ali laterali, il portone d’ingresso viene dotato di un entrata di maggior rispetto, grazie all’ampliamento della scala di accesso (modifica che risulta visibile osservando il pavimento del pianerottolo), si dà rilevo alla facciata trasformando le semplici finestre del primo piano, prospicenti l’asse dell’edificio, in una porta-finestra trifora con archi a tutto sesto, sottolineata da un balconcino a balaustri (lo schema è analogo a quello di villa Ancilotto-Girardi, sempre a Motta); si arricchiscono il prospetto frontale e le ali con un coronamento a balaustri e statue. Vengono modificate le cornici delle finestre del piano nobile, il cui nuovo motivo ornamentale con petali stilizzati nella lunetta, è parimenti ripreso dal celebre palazzo Mocenigo-Tagliapietra-Colussi, tra i più antichi e caratteristici di Motta.
In tale circostanza anche gli interni e, molto probabilmente, il giardino vengono completamente trasformati: la data 1925 compare nel retro di alcune cornici di stucco, tolte d’opera nel corso dei restauri compiuti dagli attuali proprietari.
I caratteri architettonici del nuovo edificio, in linea con il perdurante gusto eclettico, fondono in un insieme armonico i motivi della tradizionale villa veneta seicentesca e settecentesca, quali lo schema tripartito caratterizzato dall’emergenza del corpo centrale affiancato dai corpi laterali simmetrici, i coronamenti a balaustri e statue, la pulizia della superfici murarie scandite dalla regolare disposizione delle finestre, con elementi del nuovo stile anni Venti, quali le vetrate colorate e alcuni oggetti dell’arredo interno.
Moderna è anche la scelta dei materiali, gli elementi di ornato architettonico, dalle cornici delle finestre e delle porte, alle mensole del sottogronda e i parapetti a balaustri e colonnine, è interamente realizzato in pietra artificiale di ottima qualità, lievemente tinteggiata di rosa in alcune cornici delle finestre. Vetri colorati e rivestimenti degli interni, specie quelli dei bagni in opalina, rivelano un gusto tipicamente Decò. Mentre le statue del coronamento apicale sono in pietra tenera.
L’interno conserva la tradizionale tripartizione veneta, con salone passante, ambienti angolari e vano scala laterale. Questo, introdotto da un’apertura arcuata, ha un aspetto monumentale, conferito in parte dal rivestimento in pietra di Aurisina (i gradini sono in pietra di Aurisina fiorita) della parte inferiore delle pareti; in parte dalle aperture a tre archi con porte profilate da sontuose cornici lignee, in corrispondenza dei pianerottoli; e per finire dal pregevole parapetto di ferro battuto i cui elementi, dai motivi neo-settecenteschi, sono aggregati con viti e brasatura a fuoco. Il bastone corrispondente al gradino d’invito, si prolunga inoltre a formare un elegante lampioncino.
Gli ambienti interni sono per la gran parte caratterizzati dai bellissimi pavimenti a terrazzo alla veneziana e parquet dalle articolate tarsie, tutt’oggi ben conservati. Ogni stanza presenta soffitti ornati da articolate cornici di stucco (che, come già detto, portano nel retro la data 1925). Pregevole inoltre è la fattura delle porte che si caratterizzano per l’elegante cimasa smontabile, ornata da volute di contenuto gusto neo-rocaille.
La villa conservò i suoi arredi interni fino alla scomparsa del figlio di Clara Mantovani, Luigi Bertoja, avvenuta nel 1992, data dopo la quale furono per la maggior parte dispersi; tuttavia gli attuali proprietari ne hanno rintracciati alcuni pezzi nel mercato antiquario. Fanno eccezione i tre bellissimi bagni del piano nobile che hanno ancora oggi l’arredo originario: il rivestimento delle pareti in opalina rosa, i sanitari degli anni Venti completi di lava-piedi e di un sistema di tubi scalda asciugamano, gli specchi ad anta profilati da cornici in acciaio con motivi traforati di pesci in stile Decò. Tra il piano rialzato ed il primo piano c’è inoltre la sala del cucito, i cui armadi incassati alle pareti, sono rimasti integri.
È da sottolineare che, anche la gran parte degli infissi di porte e finestre, i termosifoni e gli ambienti di servizio, quali la cantina e la soffitta, hanno mantenuto il loro stato originario.
La villa
Il corpo dell’edificio si presenta come un blocco approssimativamente cubico, elevato su tre piani, al quale si affiancano due ali, elevate su due piani. Nel retro si aggiunge il prolungamento di due corpi minori, rispettivamente a pianta rettangolare e trapezoidale. Il corpo centrale, oltre ai tre piani, presenta anche un vano intercapedine tra fondamenta e piano rialzato, e un sottotetto, da dove risulta visibile il sistema di travature di sostegno delle falde del tetto. Il corpo centrale è frutto di un ampliamento rispetto all’impianto originario: ciò risulta visibile osservando in corrispondenza del tratto di solaio che si apre nel vano scala la continuazione della decorazione a fiori stilizzati che caratterizzava la cornice sottogronda esterna, prima delle modifiche, cornice che ancora circonda l’edificio.
Il prospetto di facciata è coronato, nel profilo superiore, da un parapetto a balaustri, sormontati da vasi e statue apicali (apparato realizzato in pietra tenera).
Il sotto gronda è rifinito da modiglioni a voluta, che, come si è detto, interrompono la cornice sotto gronda, decorata da fiori stilizzati dipinti entro riquadri.
Il rivestimento della muratura è costituito da intonaco tinteggiato di bianco, sul quale gioca il contrasto cromatico dei balconi e degli elementi plastici che incorniciano porte e finestre. La fascia corrispondente al piano rialzato, delimitata da una cornice marcapiano aggettante, è distinta da una rifinitura a fasce orizzontali. Le finestre del prospetto frontale seguono, nel corpo principale, una disposizione simmetrica: quelle del piano rialzato hanno cornice liscia arcuata nel lato superiore; quelle del piano nobile hanno lunetta a tutto sesto con inscritto un motivo a corolla di petali stilizzati; quelle superiori hanno lo sporto della mensola sorretto da modiglioncini a voluta. Il prospetto risulta comunque fortemente caratterizzato dalla portafinestra trifora situata al centro del piano nobile, le cui lunette presentano vetrate policrome. Questa è preceduta da un balcone con parapetto a balaustri, sotto stante al quale si trova il portichetto d’ingresso.
Le finestre dei restanti prospetti sono perlopiù simili a quelle descritte o semplicemente rettangolari quelle del retro.
Sul retro dell’edificio si trova una finestra, affacciata sul balcone a pianta quadrata, diversa da tutte le altre. Si tratta di una finestra appartenuta al fabbricato originario (si confronti con la fotografia del 1920) rimasta immutata: essa si caratterizza per il davanzale fortemente aggettante sorretto da modiglioni, un architrave sostenuto da mensole a doppia voluta, ed una cornice policroma dipinta, ornata da motivi vegetali stilizzati. L’entrata principale dell’edificio è distinta da un piccolo portico costituito da colonnine, che sostengono l’architrave ornato da racemi vegetali stilizzati e mascherone, profilato da un parapetto a balaustri e chiuso da vetrate policrome. Di qui si accede all’interno attraverso un portone ligneo che presenta battenti vetrati chiusi da inferriata articolata a motivo di foglie.
Il salone ha pavimento alla veneziana con campo ad angoli lobati, definiti da una fascia in rosso di Verona, profilata da filettature a mosaico bianche e nere. Al centro riporta un motivo a cuori simmetrici.
Il soffitto è perimetrato da cornici ad ovuli, rocchetti e fogliette, ed ha, ai quattro angoli, motivi a bassorilievo in stucco raffiguranti la faretra, una ghirlanda di margherite e rami di fiori.
Si affacciano sul salone cinque porte e l’arco che immette al vano scala. Ogni porta presenta doppie ante rifinite da tre specchiature di legno a tinteggiatura più chiara; la cornice è sormontata da una cimasa amovibile, distinta da doppie volute simmetriche aventi nel centro un cespo fogliato.
Tra gli ambienti dal piano rialzato si sottolineano soprattutto il salone di rappresentanza e la sala da pranzo. Questa, oltre ai consueti stucchi dei soffitti e al bel pavimento ligneo, presenta un camino con cornice della bocca in marmo rosso e cappa ornata da stucchi: al centro è il motivo araldico della famiglia Bertoja, distinto da scudo su cui campeggia una “B” circondata da sei stelle, sormontato da corona ed elmo incoronato, ai lati del quale si dipartono rami vegetali stilizzati.
Il salotto, sul lato opposto, ha vano suddiviso da un arco mistilineo, le cornici del quale, in consonanza con quelle dei soffitti, delineano in stucco motivi rocaille. Il pavimento in parquet ha tasselli bicromi che disegnano motivi di quadrati intrecciati.
L’ambiente destinato a cucina presenta ancora il grande camino, anch’esso, come la scala in pietra di Aurisina, mentre un’ampia porta vetrata immette a quello che un tempo era il vano dispensa.
Il vano scala, anteceduto da un’apertura ad arco, ha la fascia bassa delle pareti rivestita di pietra Carsica (Aurisina). Anche la scala, a volo, si costituisce del medesimo materiale: essa è caratterizzata dai gradini d’invito dal profilo arcuato. Il parapetto in ferro battuto di pregevole fattura è articolato a volute fitomorfe e fiori stilizzati che riprendono motivi stilistici settecenteschi. In corrispondenza del pianerottolo del mezzanino e di quello del piano nobile, si aprono due eleganti doppie porte, anch’esse con comici mistilinee di modello settecentesco, con vetrate distinte da inferriata a losanghe. Nel mezzanino si trova la sala del cucito: incassati alla parete ci sono due armadi bianchi, con ante a vetrate.
Come per il piano rialzato, anche il piano nobile è caratterizzato dall’ampio salone passante, sul quale si aprono le porte di accesso ai vari ambienti. Queste a differenza di quelle sottostanti, sono più semplici, laccate bianche e dalla linea modernista: anche le maniglie di ottone, ornate da fascette sagomate, sanciscono il cambiamento stilistico dell’arredo. Il piano nobile è quello dove si trovano concentrati il maggior numero di arredi di gusto Decò: le finestre trifore che si affacciano sul prospetto frontale hanno lunette con vetrate colorate, i tre bagni, disposti rispettivamente negli angoli dell’edificio, sono un bell’esempio di ambienti integri di gusto anni Venti: tutti conservano i sanitari dell’epoca, i caratteristici specchi ad anta, con cornice di metallo, sopra il lavabo, gli scalda-asciugamani, i pavimenti a terrazzo alla veneziana con motivi ornamentali a mosaico; solo uno ha ancora il rivestimento di opalina rosa, che certamente li caratterizzava tutti.
Le camere da letto hanno soffitti decorati da comici di stucco, tutti diversi tra loro, e gli originari parquet.
Il secondo piano era costituito dagli ambienti di servizio (su una delle chiavi, ad esempio, è annotato deposito materassi), pertanto gli ambienti risultano privi di particolari ornamenti e caratterizzati da soffitti più bassi. Ciò nonostante anche qui il bagno ha conservato l’originaria vasca, rialzata su piedini.
La villa è dotata di una dependance realizzata prima del 1939.
Nella recinzione del retro, costituita da laterizi faccia a vista, è presente un capitello dedicato a Sant’Antonio, che per secoli ha scandito, assieme alla precedente immagine della Madonna del Latte, il percorso dei devoti verso la vicina Basilica della Madonna dei Miracoli. L’edicola, a casetta, custodisce una statua lignea del santo, reggente il Bambino, realizzata nel 1932 da Ferdinando Demetz ad Ortisei (BZ), come testimonia un’iscrizione rilevata sulla statua stessa.
Dalle indagini recentemente avviate è risultato che i Bertoja affidarono i lavori di ristrutturazione della villa all’ingegner Attilio Saccomani (1897-1981).
Il giardino
Circondata da un ampio e rigoglioso giardino, studiato nei minimi particolari e popolato di piante antiche e preziose, la villa è perimetrata nel lato del prospetto principale da una recinzione a pilastri, sormontati da cesti di fiori scolpiti, e da una ringhiera in ferro, articolata a motivi floreali; nel prospetto retrostante da un muro di cinta in laterizi, faccia a vista, con aperture quadrilobate. Di fronte si trova una fontana con vasca ovale al centro della quale, su una coppa rialzata da. tre colonnine, è posta una statua femminile, il cui modello rievoca le Veneri pudiche classiche.
Nel giardino si trovano altri arredi realizzati in pietra artificiale e pietra tenera: alcuni vasi, delle statue, delle colonne sormontate da statuine femminili, una vera da pozzo, una fon-tana con seduta semicircolare.
Il giardino in generale raggruppa circa 80 diverse essenze arboree ed arbustive. Nell’area antistante la villa si estende il giardino cosiddetto formale, caratterizzato da aiuole bordate di convallaria geometricamente disposte. Fanno spicco sul lato di ingresso un cedro, uno stupendo e raro esemplare di olea fragrans di oltre cent’anni, una magnolia grandiflora di notevole altezza. Un gruppo di cinque palme sembrano proteggere una peonia arbustiva rosa, due macchie di cespugli di calicanto creano un piccolo angolo dove in origine c’era un chiostro. Due piante di rincospermo abbracciano i lati del portichetto di ingresso e parte del parapetto sovrastante creando un motivo ricco di suggestione. Il giardino è delimitato nei tre Iati da una siepe di alloro. Nella porzione di giardino tra la villa e la dépendance trovano spazio, al centro, un cedro dell’altezza di circa 30 metri con una magnolia a ridosso ed un grande cespuglio di pittosforo con altri cespugli da fiore. Vi sono poi altre due magnolie grandiflora, una fotinia sul lato sinistro, mentre, sul lato destro, spiccano un cipresso, alcune acacie ed un platano nonché numerosi cespugli fioriti: siringa vulgari - philadelpho - forsithia - peonia - rincospermo. Sul retro della dépendance esistono da oltre un secolo quattro giganteschi esemplari di pioppo. Vi sono numerosi aceri, diverse acacie, palme, cinque svettanti cipressi posti in semicerchio, pini austriaci e pini piangenti, un abete, dei tassi, un gelso, due cornioli e numerose piante da frutto, rose antiche, un alloro gigante. Sul finire del giardino, dopo il frutteto, c’è una suggestiva zona a parco costituita da uno svariato numero di tassi, cespugli da fiore tipo calicanto, pittosforo e philadelpho, bergenie, alcuni lecci, diversi aceri e tigli, carpini, vari cespugli di lauro.
Villa Rietti Rota è un complesso architettonico cinquecentesco edificato a ridosso dell’argine del fiume Livenza presso Villanova di Motta di Livenza.
La Villa, costruita nel 1580 come dimora di villeggiatura per volontà del nobile veneziano Filippo Filippi, cambiò spesso proprietario nel corso dei secoli. La proprietà passò dapprima ad Alvise Tiepolo (i Tiepolo figurano tra le famiglie possidenti più antiche di Villanova) fino alla meta del XIX secolo e tra Ottocento e Novecento toccò per via ereditaria ai conti Papadopoli, che la trasformarono in moderna azienda agricola[1], ma la vendettero nel 1914 ad una società francese. Fu acquistata nel 1919 dal comm. Michelangelo Sacilotto, che la cedette infine alla famiglia Rietti Rota, nel 1928. Durante la prima guerra mondiale divenne sede di un ospedale militare dell’esercito austriaco e, nella seconda, fu occupata come comando tedesco, che la lasciò dopo averne razziato e devastato il patrimonio.
I Rietti Rota la restaurarono e la tennero sino al 1972, quando fu acquistata dall’Ente Nazionale Tre Venezie per poi essere trasferita nel 1999 all’Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto (ESAV), oggi Veneto Agricoltura, ente operativo della Regione Veneto, rimasto proprietario fino all'avocazione a sè nel 2017 da parte della Regione stessa[2]. L’ESAV ne aveva fatto un Centro Studi e Formazione a servizio dello sviluppo del territorio e per la valorizzazione dei prodotti tipici.
Il restauro più recente risale al 2007. Il territorio attende ora un nuovo rilancio di Villa Rietti Rota.
Alla Villa si accede da un grande cancello di ferro che chiude un muro di cinta di vecchie pietre, percorrendo un lungo viale ortogonale all’asse sul quale si attestano gli eterogenei edifici che compongono il complesso architettonico.
Il primo degli edifici a imporsi, insieme con la sua grande corte, è la barchessa, il cui corpo di fabbrica, alto due piani e ritmato dalle ampie arcate del portico, si sviluppa in senso longitudinale. «I suoi prospetti ripropongono la tipica e ripetuta partitura di arco a tutto sesto su pilastro rettangolare, finestra ad arco ribassato e foro di aerazione», ma rispetto alla struttura originaria hanno subito alcune alterazioni: al piano terra, la muratura di quattro arcate del portico (divenute così arcate cieche finestrate); al primo piano l'ingradimento di alcune finestre fino a comprendere il foro di aerazione sottostante e il conseguente disallineamento orizzontale delle bucature.
Al corpo della barchessa è adossato un più basso edificio delle scuderie.
All’estremità orientale del complesso s'innalza l’edificio padronale del XVI secolo, rispettoso dei canoni tradizionali del palazzo di villa, composto in alzato di tre piani a sezioni differenziate, con facciate principali quasi identiche nella forma e nella distribuzione delle forometrie: al piano terra, una porta di ingresso, di semplice fattura senza stipiti lapidei e di forma rettangolare; al piano superiore, l'elemento caratterizzante della serliana[3] - seppur con le bucature superiori ai lati degli archi murate - indice della presenza del tradizionale salone passante sovrapposto all’androne d’ingresso; al piano attico, le finestre quadrate disposte simmetricamente rispetto all’asse mediano delle facciate.
Nel prospetto volto a sud est, il balcone in corrispondenza della serliana è sorretto da quattro mensole lapidee che incorniciano tre riquadri affrescati.
L’intero volume dell’edificio è concluso da una cornice dentellata su cui poggia la copertura piramidale. L’equilibrio volumetrico del corpo di fabbrica è squilibrato dal piccolo volume annesso al prospetto ovest e da due camini che incorniciano un abbaino.
A lato del corpo padronale è stato eretto un’oratorio gentilizio neogotico in cotto, dedicato a S. Anna, secondo gli elementi tipici dell’architettura eclettica ottocentesca. Ai vertici del tetto a capanna si elevano tre piccole edicole cuspidate, mentre la cornice su cui poggiano è sorretta da arcatelle rampanti. La lunetta posta sopra il portale di ingresso è decorata da un affresco attribuito a Pompeo Marino Molmenti (cfr. Mazzotti, 1954[4]).
Il complesso, orientato a sud ovest e articolato in una serie di edifici identificabili in tre corpi distinti, è situato tra il rettifilo della strada provinciale 27 ed il fiume Livenza che ne disegna il confine nord orientale.
Al termine del viale d'ingresso, la casa padronale, databile alla seconda metà del XVIII secolo, si colloca tra due annessi, quello a nord ovest allungato a forma di "L" e quello a sud est a pianta più compatta di notevoli dimensioni.
In facciata è ben leggibile la tripartizione della pianta, rispettosa del tradizionale schema tipologico dell'edificio di villa. Gli elementi significativi del prospetto principale culminano nella quadrifora che occupa la parte centrale della composizione.
Al piano terra, tutte le forature sono architravate eccetto la porta d’accesso, archivoltata e affiancata da piedritti lapidei conclusi da capitelli modanati.
Le finestre laterali del primo piano, in asse con le aperture sottostanti, differiscono da quest’ultime per la parte sommitale, voltata e protetta da cimasa aggettante.
La quadrifora del salone passante che si affaccia su di un balcone in pietra d’Istria è suddivisa dea tre colonne lapidee a sostenere i quattro archi a tutto sesto.
Una trifora con parapetti, che riprendono la balaustrata del balcone, organizza il prospetto del piano attico alla cui sommità un timpano con oculo centrale chiude la facciata.
La villa viene realizzata nella seconda metà del '700 dalla famiglia Contarini. Si compone di tre corpi di fabbrica: il fabbricato dominicale e le due barchesse ad esso legate da un muro intonacato. Tra il 1820 e il 1830 passa alla famiglia Mocenigo. Nella seconda metà del 1800 l'intero complesso viene acquisito dal cav. Ancilotto, fino al 1971, quando la barchessa nord viene separata dal resto della proprietà ed entrambe vengono vendute.
Della villa hanno curato una storia Mauro Fasan e Roberto Guerra (Un doge a Motta, Diana Group), per conto della famiglia Diana, oggi proprietaria della prestigiosa dimora
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Villa singola a pianta quadrata del XVI secolo che appartenne alla famiglia del Doge Morosini. Il complesso è formato da un corpo centrale, una piccola chiesa ed alcune adiacenze rurali su un lotto di circa mq 32.000 nel quale troviamo anche un lago di mq 8.400. Attualmente versa in grave stato di degrado ed abbandono.
Al tempo della prima edizione del catalogo "Le Ville venete", a cura di Giuseppe Mazzotti, (1952) Villa Morosina - allora adibita a casa colonica e già in cattive condizioni - era così schedata (p. 626): «È a tre piani, di originale e conservatissima archittetura. Atrio aperto con due colonne. Ampio poggiolo con serliana e magnifiche finestre con capitelli ionici. Tutti i contorni delle prete e finestre sono assai belli. Caratteristica l'architettura della scala, con voltine a vela. Travi alla sansovina. Sulla facciata posteriore, bel poggiolo in ferro. Appartenne alla famiglia Morosini, poi al Rietti-Rota, ora alla Soc. "La Morosina" (co. Giuseppe Oniga Farra)».
Villa Morosina a Villanova di Motta di Livenza - Litografia di Igino Marangon | Fonte: iginomarangon.it/litografie
Villa Morosini a Villanova di Motta di Livenza: (particolare) serliana | Litografia di Igino Marangon | Fonte: pinterest.it/461126449322152340
Il duomo di San Nicolò è attorniato da un antico nucleo di case tra cui quella che fu del cardinale Girolamo Aleandro, detta "la castella" (oggi di proprietà comunale)
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