Analemma solare in Piazza Grande a Oderzo. Funge da calendario grazie all'ombra proiettata dalla cuspide più alta del Duomo.
Meridiana settecentesca visibile sulla parete sud della chiesa parrocchiale di Piavon di Oderzo. Segna le antiche ore italiche.
Human Sundial in una nuova scuola a Lafayette (Louisiana, USA). Serve l'ombra di una persona per mostrare l'ora esatta.
Vada al diavol colui che inventò l'ore,
e primo pose qui quest'orologio
(Plauto, Boeotia)
Conosco la mia età, posso dichiararla,
ma non ci credo: nessuno si riduce
alla semplice apparenza della sua età
fintantoché gli rimane un po’ di consapevolezza
(Marc Augé)
Nella frazione opitergina di Piavon, su iniziativa del Gruppo Alpini, sabato 8 febbraio 2020, alle ore 15, sarà intitolata a Clelia Caligiuri la piazzetta antistante la scuola primaria. Clelia Caligiuri è stata la prima donna italiana insignita del titolo di "Giusto tra le Nazioni" per aver salvato dalla deportazione un’ebrea croata offrendole nascondigli (a casa propria e in altri luoghi) dal settembre del 1943 alla fine della guerra. Emigrata da Napoli in Veneto alla ricerca di lavoro, in quel periodo abitava a Piavon come maestra nella locale scuola elementare. All'inizio della cerimonia ne racconterà la storia Andrea Pizzinat, che - grazie ai suoi articoli pubblicati ne L’Azione nel 2017-2018 - ha contribuito a togliere dal dimenticatoio la vicenda.
Quest'anno la santa Candelora fa l'enigmista e combina una data palindroma, che non cambia cioè se viene letta da sinistra a destra o viceversa: 02.02.2020. È palindroma sia per noi, sia per chi utilizza notazioni differenti, come gli anglosassoni che all'anno fanno seguire il mese e il giorno: anche a New York il «palindrome day» sarà 2020.02.02. La precedente data palindroma mondiale fu l'11 novembre 1111 (11.11.1111) in pieno Medioevo; la prossima sarà il 12 dicembre 2121 (12.12.2121).
La ricorrenza cristiana popolarmente chiamata Candelora è celebrata il 2 febbraio, essendo stata istituita come festa della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione della Vergine Maria. Secondo il Levitico biblico (12, 2-4), una donna dopo il parto di un maschio era ritenuta impura del sangue mestruale per un periodo di quaranta giorni e doveva andare al Tempio per purificarsi. I 40 giorni dopo il 25 dicembre, parto di Gesù, cadono appunto il 2 febbraio. Prende il nome di Candelora (di probabile derivazione latina: candelorum o festum candelarum) dal rito di benedizione delle candele, simbolo di Cristo (appellato «luce per illuminare le genti» da Simeone al momento della presentazione al Tempio), portate dai fedeli, da conservare poi in casa e accendere per scongiurare calamità e tempeste.
Nella ricorrenza cristianizzata, collocata a mezzo inverno nel tempo astronomico, si riconosce l'apparentamento con alcune celebrazioni legate al ritorno della luce in alcune tradizioni religiose pre-cristiane, nella fase dell’anno in cui, sebbene l’inverno risulti ancora climaticamente rigido, la luce manifestata con il solstizio d’inverno inizia a essere percepita in modo più chiaro. Esempi ne sono la festa celtica di Imbolc (1° febbraio, nel punto mediano tra il solstizio d'inverno e l'equinozio di primavera) e, nel mondo romano, le feste della Dea Februa (Iunio Februata = Giunone purificata) e gli antichi Lupercali rispettivamente l'una alle calende di febbraio (il 1°) e gli altri alle idi di febbraio (il 15), ultimo mese dell'anno per i romani.
Imbolc (da imbolg = nel grembo) era sotto gli auspici della dea Brigit (o Brighid, da breo, fuoco), divinità del fuoco, della tradizione e della guarigione, e contemplava l'accensione di fuochi e falò rituali che simboleggiavano la luce e al tempo stesso la richiamavano. Brigit fu sostituita, con l'avvento dell'era cristiana, da santa Brigida, considerata evangelizzatrice d'Irlanda, a cui vengono attribuite molte caratteristiche dell'antica divinità.
Una ricodificazione cristiana è attestata anche per l'antica festa dei Lupercali (← it.wikipedia.org | treccani.it) che combinava riti di fertilità e purificazione/propiziazione, tenacemente durata lungo i secoli fino all'Alto Medioevo. A papa Gelasio (492-496) si attribuisce la proibizione ai fedeli di partecipare in qualsiasi modo alla cerimonia, mentre non è provato che a lui sia riconducibile anche la sostituzione della festa della Purificazione di Maria a quella dei Lupercali - da celebrare proprio attorno alle idi di febbraio, cioè 40 giorni dopo l'Epifania, che è il Natale degli Orientali, com'era in uso a Gerusalemme già alla fine del IV secolo, con il nome di Quaresima dopo l'Epifania il 14 febbraio - perché si ha menzione della Candelora cristiana in Roma solo nel sec. VII. Quando la festa cristiana prevarrà, le antiche fiaccolate rituali che accompagnavano i Lupercali cedono all'uso delle candele: «incenduntur omnes candelae et cerei et fit lumen infinitum», si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima (Peregrinatio Aetheriae, 24, 4).
Ancora nel “Lunario Toscano” dell’anno 1805 si legge: «La mattina si fa la benedizione delle candele, che si distribuiscono ai fedeli, la qual funzione fu istituita dalla Chiesa per togliere un antico costume dei gentili [i gentili erano i pagani, ndr] che in questo giorno in onore della falsa dea Februa con fiaccole accese andavano scorrendo per le città, mutando quella superstizione in religione e pietà cristiana».
* * * * *
Lo storico veneziano Nicola Bergamo, nel raccontare Venezia dalle origini fino all'indipendenza da Costantinopoli, incrocia anche la storia di Oderzo, all'epoca ancora centro amministrativo di qualche rilievo (sebbene ormai lontana dai fasti dei secoli precedenti) di un territorio sotto il controllo dell’Impero Romano d’Oriente che si sarebbe in seguito evoluto in ducato e quindi nella Repubblica di Venezia: la Oderzo di san Tiziano, san Magno e di Paolo Lucio Anafesto, eletto - secondo leggenda - primo “doge” veneziano. Anche prescindendo dalla storicità del "primo doge", la sua figura costituirebbe indizio che la nobiltà opitergina, trasferitasi nella più sicura Eraclea per sfuggire alle incursioni longobarde, ebbe un ruolo decisivo nella nascita di quell'umile comunità di profughi nella zona di Torcello destinata a diventare lentamente la "Dominante". |
Fonte della foto: leggerepernondimenticare.it
4.12.2019 | È morto Giuseppe Bevilacqua, noto germanista, storico della letteratura tedesca, traduttore e scrittore.
[a. m.] Trevigiano di nascita (1926), aveva trascorso la giovinezza ad Oderzo, abitando coi genitori a Palazzo Foscolo. La madre era la pittrice Angelita Rolleri. Nasceva negli anni in cui lo zio Luigi de Giudici, pittore dell'avanguardia anti-accademica degli anni Dieci, marito di Maria Rolleri, sorella di Angelita, ricopriva la carica di "sindaco-podestà" di Oderzo.
Formatosi all'Università di Padova, fu dapprima lettore all'Università di Tubinga e poi assistente di Ladislao Mittner a Ca' Foscari. Dal 1967 al 2000 ha tenuto la cattedra di lingua e letteratura tedesca all'Università di Firenze.
Un ampio scorcio sulla sua vita di passioni, interessi e impegni culturali nonché di affetti e di amicizie, ha lasciato nelle intense memorie di Pagine di un lungo diario (Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2015).
La sua attività saggistica è fra le più importanti dell'ultimo cinquantennio.
È stato il più profondo studioso di Paul Celan. Dopo aver vinto il premio Mondello 1984 già per la traduzione di "Luce coatta e altre poesie postume", ha tradotto e curato le Poesie di Celan raccolte nel Meridiano Mondadori del 1998, seguito nel 2001 dalle Letture celaniane (Editrice Le Lettere).
Sul Romanticismo tedesco, suo permanente oggetto di studio, si sono succeduti: Parole e musica: l'esperienza wagneriana nella cultura fra Romanticismo e Decadentismo (Olschki, 1986); Romantici tedeschi (Rizzoli 1995-98, 5 volumi); Saggio sulle origini del Romanticismo tedesco (Sansoni, 2000); Introduzione al secondo "Faust" e altri interessi goethiani (Palomar, 2003), fino al saggio sul legame tra poesia e follia in Friedrich Hölderlin (Olschki, 2007). Claudio Magris considera quella dell'amico Bevilacqua «la più originale e persuasiva indagine esistente sull'argomento, che aiuta a capire a fondo pure la stagione culturale che stiamo ancora vivendo, il moderno e il suo trapasso nel post-moderno»
I percorsi dentro il Novecento si trovano raccolti in Novecento tedesco (Le Lettere, 2004) e comprendono anche la traduzione in rima delle Poesie di Gottfried Benn (Il ponte del sale, Rovigo, 2008).
Negli ultimi decenni, Bevilacqua aveva lasciato erompere anche la propria vena narrativa e poetica. Godibilissimi sono sia il breve "romanzo di iniziazione" Villa Gradenigo (Einaudi, 2011), vincitore del Premio Comisso, sia l'appena più ampio L'alzata di Meissen (Mondadori, 2014), protagonista un "Io senile", di chiara ispirazione autobiografica.
Il primo racconta il mondo e i segreti di un adolescente inquieto e solitario, nel microcosmo di una villa del Seicento e il suo vasto parco, Villa Gradenigo (alias Palazzo Foscolo), nell’abitato del paese di Borgo (alias Oderzo). Sullo sfondo dell’Italia fascista, nel cuore della provincia veneta, Maurizio sperimenterà le presenze e le assenze dell’universo famigliare, si emanciperà gradualmente dal ruolo di figlio e fratello, conoscendo i primi turbamenti, vedrà dispiegata l’immobile gerarchia sociale degli abitanti del Borgo, fino ad incontrare la politica e la letteratura, destinati a ridisegnare il suo tragitto interiore in vista dell’età adulta.
Il secondo prende nome dalla stupenda alzata in porcellana di Meissen finemente modellata, che il professor Linder, ospite come relatore ad un congresso culturale di tre giorni a Villa Bella, sul lago di Como, ammira nello studio-biblioteca riccamente dotato del Direttore della Fondazione, che l’ha invitato. La villa appare, soprattutto a sera e notte, un mondo diverso, ovattato, presago di accadimenti fuori dell’ordinario. Dell’alzata di Meissen lo attrae particolarmente l’espressività delle due figure umane rappresentate, sui lati opposti attorno al fusto a forma di tronco d’albero: una giovane dama slanciata nella corsa che tiene con una mano l’abito rialzato fino quasi alle ginocchia e con l’altra un cestino colmo di frutta dinanzi a sè, mezzo voltata tuttavia come per accertarsi d’esser seguita; un cavaliere in abito settecentesco al suo inseguimento con la mano protesa ad afferrarla. Poco dopo l'inizio del congresso, tra gli ospiti, Linder fa la conoscenza di Peonia, una giovane studiosa tedesca, lì mandata dal suo professore, per tenere la prima relazione della sua carriera. Peonia ha quasi la metà dei suoi anni. Si dispiegheranno, indovinabili ed inaspettate al tempo stesso per i protagonisti, le dinamiche dell'uomo vecchio e della donna giovane, toccati nell'atmosfera di quel luogo e di quel soggiorno da reciproca ammirazione e attrazione: complicità intellettuale, sguardi d'intesa, colloqui allusivi, vicinanze emozionanti. La storia pare l'immagine riprodotta nell'alzata, ma il loro sentimento è fragile e delicato come quella porcellana. L'abbozzo d'amore rimarrà in quella villa che l'ha visto accendersi e quale ricordo prezioso che il vecchio professore e la giovane studiosa serberanno nel loro intimo.
Il segno della sua poesia, infine, è stato lasciato nella raccolta Un pennino di stagno (Il Ponte del Sale Edizioni, 2005, a cura di Andrea Zanzotto).
Il Rinascimento di Pordenone, Con Giorgione, Tiziano, Lotto, Jacopo Bassano e Tintoretto
Mostra a cura di Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi
Da venerdì 25 ottobre 2019 a domenica 2 febbraio 2020
Pordenone | Galleria d'Arte Moderna, Museo Civico d'Arte e Duomo di San Marco
Alla Galleria d'Arte Moderna sono esposti più di 50 dipinti e una ventina di disegni autografi del Maestro. Accanto a queste opere, dipinti di esponenti di spicco della pittura veneta e padana del XVI secolo: da Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lotto, Romanino a Correggio a Dosso Dossi, Savoldo, Moretto, Schiavone, Bassano, Tintoretto, Amalteo e altri ancora, senza dimenticare i suoi precursori e i suoi allievi o seguaci.
Al Museo civico d’Arte è possibile scoprire altri dipinti e opere del Pordenone visitando il percorso permanente del secondo piano. Al piano terra invece, è allestita la sezione documentaria relativa all’artista e una selezione di volumi d’arte.
Le opere di questa mostra provengono da importanti musei italiani e internazionali, oltre che dai musei e chiese del territorio friulano, veneto e lombardo.
31.10.2019 | In Friuli e Veneto (ma anche in molte altre regioni) era diffusa la tradizione di intagliare zucche con fattezze di teschio e la credenza che nella notte dei morti (all hallow even = la sera di tutte le anime) questi potessero uscire dalle tombe, muoversi in processione, irretire i bambini, ed infine che gli animali nelle stalle potessero parlare. Sempre in Friuli era diffusa una tradizione simile a quella del "dolcetto o scherzetto", ma applicata nelle festività natalizie o carnevalesche, feste che hanno pure origine come riti di passaggio d'anno.
Lungo tutta la penisola italiana è tradizione da secoli preparare biscotti, pasticcini, dolcetti per festeggiare (spesso esorcizzare) la giornata dei defunti e la Festa di Ognissanti. Lasciando da parte l'odierna colonizzatrice e consumistica festa di Halloween, questi dolci secondo tradizione cristiana e precristiana hanno sempre rappresentato l'offerta dei vivi alle anime dei defunti, che nella notte tra il 1 e il 2 novembre ritornerebbero nelle proprie case a fare visita ai parenti.
Numerose sono le ricette per prepararli, variabili per forme e ingredienti da regione a regione: gli ossi da morto detti anche ossa da mordere, il pane dei Morti o pane dei Santi, le fave dei Morti, il torrone dei Morti, la piada dei Morti, la colva, i pupi di zucchero, le rame di Napoli, la frutta di Martorana ...
Procedura: 1 ora 10 minuti |Cottura: 30 minuti | Persone: 8 | Difficoltà: facile
Ingredienti: 400 gr farina, 120 gr zucchero, 100 gr fecola di patate, 100 gr burro, 2 uova, 2 dl vino bianco, 1 bustina lievito vanigliato, q.b. sale
1) Fate ammorbidire il burro a temperatura ambiente, tagliatelo a pezzetti, mettetelo in una ciotola e lavoratelo a crema sbattendo con un cucchiaio di legno. Incorporate lo zucchero, le uova sgusciate, un pizzico di sale e la farina mescolata al lievito e alla fecola passata da un setaccio.
2) Amalgamate infine poco alla volta il vino necessario per ottenere una pasta abbastanza morbida. Dividete la pasta a pezzi, ricavate dei cilindretti grossi come un dito mignolo e tagliateli a pezzetti di circa 10 cm di lunghezza; premeteli al centro con la mano aperta lasciando le estremità un po' più spesse, in modo che prendano la tipica forma di un osso.
3) Disponete gli ossi da morto su una placca rivestita di carta forno tenendoli leggermente distanziati e infornateli per circa 30 minuti a 180 °C. Levateli dal forno e lasciateli raffreddare.
Oderzo, venerdì 18 ottobre, ore 20.30 - Palazzo Moro
Organizzazione:
ANPI sezione di Oderzo e CGIL Treviso
con il patrocinio del Comune di Oderzo
Museo di Santa Caterina / Treviso
© 2023 am+