Analemma solare in Piazza Grande a Oderzo. Funge da calendario grazie all'ombra proiettata dalla cuspide più alta del Duomo.
Meridiana settecentesca visibile sulla parete sud della chiesa parrocchiale di Piavon di Oderzo. Segna le antiche ore italiche.
Human Sundial in una nuova scuola a Lafayette (Louisiana, USA). Serve l'ombra di una persona per mostrare l'ora esatta.
Vada al diavol colui che inventò l'ore,
e primo pose qui quest'orologio
(Plauto, Boeotia)
Conosco la mia età, posso dichiararla,
ma non ci credo: nessuno si riduce
alla semplice apparenza della sua età
fintantoché gli rimane un po’ di consapevolezza
(Marc Augé)
Con l'adozione del calendario gregoriano, dal 4 ottobre si passò direttamente al 15 ottobre
Il calendario gregoriano - così denominato in onore di Gregorio XIII, il papa che il 4 ottobre 1582 con la bolla Inter gravissimas lo fece adottare a quella parte di cristianità che era fedele a Roma - prevedeva un nuovo sistema di calcolo per correggere l'errore del previgente calendario giuliano che - basandosi su una durata media dell'anno di 365 giorni e 6 ore (la media di tre anni di 365 giorni e uno bisestile di 366), circa 12 minuti più della durata dell'anno solare medio - aveva accumulato circa un giorno di ritardo ogni 128 anni rispetto al trascorrere delle stagioni.
Tra il 325, anno in cui il Concilio di Nicea stabilì la regola per il calcolo della Pasqua, e il 1582 si era ormai accumulata una differenza di circa 10 giorni. Questo significava, ad esempio, che la primavera, in base alle osservazioni astronomiche, non risultava più cominciare il 21 marzo, ma già l'11 marzo. Quest'incongruenza era molto grave in ambito cattolico, in quanto venivano spesso a cadere nella data sbagliata sia la Pasqua, il cardine dell’anno liturgico, che sarebbe dovuta coincidere con la prima domenica dopo il plenilunio di primavera, sia i periodi liturgici collegati ad essa, cioè la Quaresima e la Pentecoste.
Per recuperare i dieci giorni perduti si stabilì che il giorno successivo al 4 ottobre 1582 fosse direttamente il 15 ottobre e, per evitare interruzioni nella settimana, si convenne che il 15 ottobre fosse un venerdì, dal momento che il giorno precedente, il 4, era stato un giovedì.
Il calendario gregoriano fu adottato da molti stati cattolici, ma non tutti si uniformarono immediatamente (come gli stati italiani e il Portogallo). Altri si presero un po' di tempo. La Francia lo accettò a fine anno, nel mese dicembre. In date diverse nell'arco dei cinque anni successivi (1583-1587) aderirono i Paesi Bassi cattolici, l’Austria e la Baviera, la Boemia e Moravia e cantoni cattolici della Svizzera, la Polonia, l’Ungheria. Anche i paesi che adottarono il calendario gregoriano successivamente dovettero stabilire un analogo "salto di giorni" per riallinearsi.
A proposito della Repubblica Veneta, si può qui ricordare che l'introduzione del calendario gregoriano non aveva stravolto l'uso ufficiale e il capodanno veneto, fissato il 1º marzo (com'era nel calendario giuliano), rimaneva quindi una festività ufficiale della Serenissima Repubblica. Nelle date dei documenti si ovviava a possibili fraintendimenti affiancando la dicitura latina more veneto, ossia "secondo l'uso veneto". Una data generale come 27 febbraio 1720 corrispondeva al 27 febbraio 1719 more veneto, in quanto l'anno 1720 sarebbe iniziato in Veneto solo a partire dal mese seguente. Il 1° marzo 1720, invece, era tale sia secondo il calendario gregoriano sia more veneto.
I paesi protestanti resistettero inizialmente al nuovo calendario "papista" e vi si adattarono solo in epoche successive: gli stati luterani e calvinisti nel 1700, quelli anglicani nel 1752, quelli ortodossi ancora più tardi. Le Chiese ortodosse russa, serba e di Gerusalemme continuano tutt'oggi a seguire il calendario giuliano: ciò spiega il persistere della differenza attuale di 13 giorni tra le festività religiose "fisse" ortodosse e quelle delle altre confessioni cristiane.
Per quanto riguarda i paesi non cristiani, in Giappone fu adottato nel 1873, in Egitto nel 1875, in Cina nel 1912 e in Turchia nel 1924. Interessante perché travagliato fu il processo di introduzione da parte della Svezia (dal 1699 al 1753) e quello nell'Unione Sovietica, che dapprima lo recepì nel 1918, poi lo modificò - sull'individuazione degli anni bisestili - a favore di un proprio Calendario rivoluzionario sovietico (1923), infine abbandò quest'ultimo già nel 1940 per tornare al calendario gregoriano.
Premiata Forneria Marconi - Impressioni di Settembre Live in Japan 2002 | youtu.be/s9jrgvnIwCc
* * *
[a. m.] Ottobre 1971, poco meno di mezzo secolo fa: usciva il primo singolo a 45 giri del gruppo musicale italiano Premiata Forneria Marconi. Sul lato A portava La carrozza di Hans, sul lato B Impressioni di settembre.
La scena rock italiana accolse bene il primo brano, anche perché, prima di inciderla su disco, la PFM aveva presentato la versione originale di La Carrozza di Hans, lunga quasi dieci minuti, al 1° Festival di musica d'avanguardia e di nuove tendenze (27 maggio - 2 giugno 1971), nella pineta di Lagomare, a Torre del Lago, vicino a Viareggio in Versilia, e si era classificata prima a pari merito con Mia Martini (Padre davvero) e gli Osanna (cfr. Osanna, L'uomo, 1971 | youtube.com/cAWQVkLyv3A | youtube.com/XzZ2oh1aBno). Ma fu il secondo brano Impressioni di settembre (4:20 - Mussida, Mogol, Pagani) - in cui viene utilizzato per la prima volta in Italia il moog, strumento simbolo del rock progressivo di quegli anni - non solo a diventare uno dei cavalli di battaglia del gruppo, ma ad imporsi anche come pietra miliare della musica italiana riproposta in nuove versioni da molti altri artisti (Battiato, Antonella Ruggiero, i Marlene Kuntz, Francesco Renga, Ghibli, Dargen D'Amico, Gigi D'Agostino, gli Epica ...).
«Settembre, andiamo. È tempo di migrare». Anche a chi non sopportasse D’Annunzio può piacere l’icasticità del verso che inizia I pastori, l’evidenza rappresentativa con cui è ritratta la transumanza verso le pianure dove passare la stagione invernale, ma anche per le risonanze simboliche di un’erranza esistenziale che è di tutti. Erano i pastori d’Abruzzo, ma quei pastori siamo anche ognuno di noi, allo stesso modo in cui siamo quell’altro primitivo nostro alter ego, il «pastore errante dell'Asia» del leopardiano Canto notturno.
Settembre è transizione del corpo e dell’anima, stagione che ci sospinge fuori dell’euforia estiva al lento ritrarsi invernale, alle riprese, al ritorno ai ritmi consueti, oppure a stacchi netti, a nuovi inizi. Comunque a rivolgere lo sguardo a sè, a raccogliere silenziosamente i pensieri e i bilanci.
La più bella ripresa per l’anima settembrina è musicalmente Impressioni di settembre (1971) della band rock progressive “Premiata Forneria Marconi” - "i Genesis italiani" - allora composta da Franz Di Cioccio, il batterista, Franco Mussida, il chitarrista, Flavio Premoli, il tastierista, Giorgio “Fico“ Piazza, il bassista. Merita di essere chiamata alla storia dopo quasi mezzo secolo dalla composizione, insieme con il suo testo, scritto da Mauro Pagani in collaborazione con Mogol, connubio tra immagini naturali e suggestioni sonore, quasi esperienza panica, totalizzante, di rapporto col mondo.
* * *
Fonte: rollingstone.it/musica/la-guida-definitiva-agli-album-della-pfm
La mostra è stata prorogata ed è tuttora visitabile, dopo la chiusura a causa delle misure restrittive anti-covid.
Presso Palazzo Foscolo e il Museo Archeologico di Oderzo è allestita la mostra archeologica "L'anima delle cose - Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium", sei secoli di storia, dal I al VI d.C., raccontati in un viaggio attraverso reperti inediti, alla scoperta dell'antica Opitergium e dei suoi abitanti.
Sono presentati, per la prima volta, in una visione d'insieme, alcuni tra i corredi più belli e significativi, rinvenuti nelle indagini archeologiche che, a partire dagli anni Ottanta, hanno interessato il centro di Oderzo portando alla luce importanti evidenze dell'antica città romana e rivelando il glorioso passato dell'abitato.
Nelle Collezioni digitali PHAIDRA è disponbile anche l'Archivio delle Edizioni Ca' Foscari che mette on line i propri libri e riviste. Si può da qui consultare e scaricare in formato pdf anche il catalogo pubblicato a corredo della mostra "L'anima delle cose". Il volume si compone di una serie di saggi che focalizzano sviluppo, topografia e ritualità della necropoli opitergina, cui fanno seguito 94 schede relative ad altrettanti corredi funerari databili tra I e VI secolo d.C.
Apertura, visite e prenotazioni
«Eating is an agricultural act» (mangiare è un atto agricolo). L'assunto di Wendel Berry [1], il poeta contadino del Kentucky, ispira anche Danilo Gasparini[2] nell'unire e mescolare diversi suoi saggi ripresentati nel volume appena edito Dalla campagna alla tavola. Sistemi alimentari della Terraferma veneta in età moderna (Cierre edizioni, 2020). Così raggruppate e offerte alla rilettura, le ricerche dedicate dal docente ai vari sistemi alimentari del mondo contadino nelle stagioni che vanno dall’età moderna agli albori del Novecento sono la conferma che dietro e insieme ai mangiari, poveri o sontuosi, fatti di polenta ma anche di pernici, stanno paesaggi, sistemi colturali e soprattutto rapporti sociali ben determinati, le terre patrizie e quelle dei mezzadri, dei braccianti, dei pastori, dei vignaioli, intere generazioni che hanno fatto e disfatto i paesaggi per nutrirsi e nutrire le città.
Note
Alle stesse tematiche è dedicato anche un volume curato per Legambiente da Moreno Baccichet sul paesaggio agrario del Friuli Occidentale:
Menarósto, il girarrosto, addetto agli spiedi su brace, ha il suo grande proscenio nelle grigliate estive e in ogni festa patronale o delle proloco che si comandi. Quest'anno, anche su terrazze e giardini di casa, causa lockdown e susseguente momento liberatorio attuale (forse...). Gran rispetto per la grande professionalità di alcuni (pochi) o almeno la passione di altri (i più) ... ma quando ognuno di noi si accingerà a girare l'arrosto suo non dimentichi di poter essere un "menarosto" anche in altro senso, non referenziale, di "girare a vuoto".
Menarósto detto di un individuo - fuori del lavoro al braciere e allo spiedo - non ha preso una piega neutra o positiva, ma invece negativa: inconcludente perditempo o chiaccherone instancabile, persino seccatore noioso. Si equipara a roda (da molin), anch'esso detto di chi parla a lungo senza stancarsi (linguaveneta.net/Dizionario-Veneto-italiano-Piccio | 162.235.214.76/piccio/dicty). Menarósto in veneziano arriva a significare "disobbediente, impertinente, birichino” (Veneziani a Tavola - Sir Oliver Skardy | venezianews.it).
Godiamoci un po' di riferimenti all'uno e all'altro significato:
Venezia ha origini carolingie o bizantine? Nuova sfida interpretativa per gli storici dal ritrovamento di affreschi carolingi nella basilica di Torcello.
Il problema storiografico è destinato a riaprirsi, perché gli archeologi, guidati da Diego Calaon dell’Università di Venezia, hanno riportato alla luce nello spazio tra la volta decorata a mosaici e il tetto nella cappella del Diaconico (l’abside destra della Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello) alcuni affreschi coevi al periodo dell’erezione della basilica nel IX secolo, decorata con sculture e affreschi “carolingi”, che confermerebbero - in base a iconografia delle figure, stile pittorico e grafia delle didascalie – l’influenza politica, religiosa e culturale di un potere feudale carolingio, non bizantino come quello rappresentato dai mosaici dell’XI secolo che coprirono le opere precedenti ora ritrovate.
Un particolare degli affreschi scoperti a Torcello | Fonte: genteveneta.it/torcello-archeologia-basilica
Per il contesto storico del IX-X secolo si può consultare il capitolo Il ducato e la "civitas Rivoalti": tra carolingi, bizantini e sassoni della Storia di Venezia (1992) di Gherado Ortalli | treccani.it/enciclopedia. Uno dei più recenti contributi storici alla questione della Venezia "bizantina" è: Nicola Bergamo, Venezia bizantina: Dal mito della fondazione al 1082, Introduzione di Pier Alvise Zorzi, Edizioni Helvetia, 2018 (Oderzo e Venezia Bizantina: incontro con Nicola Bergamo).
Nelle pagine del Dialogo, Maria Teresa Tolotto, direttrice dell'Archivo parrocchiale e del Museo del Duomo di Oderzo, sta ricostruendo - mentre viviamo le tragiche occorrenze di questi mesi di diffusione del coronavirus - la memoria storica della più lontana delle epidemie che colpì anche le nostre terre, quella della peste nel 1630-31.
«Nel 1629 a Gorgo, Motta, Piavon, Oderzo, Portobuffolè, morirono di fame centinaia di persone; seguì nel 1630 un’epidemia di vaiolo, con conseguenze disastrose per una popolazione già tanto provata. Le avversità non erano finite, già dalla primavera del 1631 cominciarono ad essere registrati decessi per peste a Motta e Portobuffolè. Questi comuni decisero di chiudere le loro città, non permettendo a nessuno di entrarvi ed uscirvi. Furono adottate le leggi in materia di Sanità ... → LEGGI TUTTO →
»Così non fu per Oderzo che tergiversò permettendo lo svolgimento di attività economiche e cercando di dare un po’ di respiro alla povera gente di campagna che, già provata dalla fame, cercava di riscattarsi in città con la vendita dei prodotti degli orti e del pollaio. Queste scelte furono deleterie e si possono ancora contare nei registri dell’archivio del Duomo più di 700 morti nel tempo dell’epidemia che durò circa sei mesi. Nella fase più acuta si contano 400 morti in soli due mesi su una popolazione che nel centro città era di circa 2 mila persone... → LEGGI TUTTO →
Tintoretto, San Rocco risana gli appestati, Chiesa di San Rocco Venezia | Fonte dell'immagine: upload.wikimedia.org/wikipedia
Vari giornalisti, durante questa quarantena, hanno riscovato e rimpallato ai loro lettori una sorprendente premonizione uscita nel 2017: Asterix e Obelix sconfiggono Coronavirus. Il Covid-19? No ahinoi, non ancora. Il Coronavirus battuto è l’«auriga mascherato» (vero nome Testius Sterone) accompagnato dallo scudiero Bacillus, che capeggia la squadra romana nella corsa di carri “Modica-Neapolis” (la Monza-Napoli), organizzata dal corrotto senatore Lactus Bifidus, col consenso di Cesare a condizione che a trionfare sia un competitor romano.
Accusato di sperperare per le proprie orge (a base di tiramisus, peraltro...) i fondi pubblici destinati alla manutenzione delle strade, con la “Corsa d’Italia” tra tutti i popoli dell’impero voleva dimostrare invece l’eccellenza delle vie da lui amministrate lungo tutto il territorio italico e, per esser sicuro della vittoria, aveva arruolato dunque l’auriga romano più agguerrito e acclamato dalle folle.
I due rappresentanti dei Galli gli rovineranno i piani. Obelix, iscrittosi alla competizione, perché un’indovina gli aveva pronosticato un futuro di auriga vittorioso, compra a credito una quadriga e si mette in pista con a fianco Asterix e non senza pozione magica.
Perché chiamare Coronavirus il “cattivo” della storia? I disegnatori Jean-Yves Ferri e Didier Conrad (che dal 2013 portavano avanti la spassosissima riscrittura della storia romana con le avventure degli ormai mitici personaggi creati da René Goscinny e Albert Uderzo) avranno probabilmente preso spunto dalle cronache del 2002 e del 2012, in cui diventava noto che l’epidemia di Sars, prima, e quella di Mers, poi, erano entrambe causate dalla famiglia dei coronavirus. All’uscita dell’album, evidentemente, la minaccia sembrava ormai abbastanza lontana da poterci scherzare su. Nell’intenzione originale, Coronavirus doveva essere uno dei tanti nomi buffi presenti nell’album.
Anche se l’onomastica del cast del 37° albo della serie scimmiotta il dizionario medico - Testius Sterone, Bacillus, Lactus Bifidus - escludiamo che siano stati guidati dalla preveggenza. Quanto a Coronavirus, il nome latino esce dall’unione di “corona” (quella d’alloro, per antonomasia, che coronava i vincitori) e “virus” (veleno), appellativo adatto a incutere timore reverenziale verso il vincitore e adombrare pericolosa minaccia per l’avversario. Peraltro, Coronavirus, pur noto imbroglione, reclutato dal corrotto senatore, si rivelerà onesto e corretto, almeno nel caso dei fortunati galli, in quanto finirà per ritirarsi quando scoprirà il suo co-pilota Bacillus intento a barare per vincere la gara.
Francesco Prisco (ilsole24ore.com | 2.3.2020) ricorda che «Quando qui da noi uscì con Panini Comics “Asterix e la corsa d’Italia” (Astérix et la Transitalique) nessuno se la filò o quasi, ma quella storia infarcita di stereotipi, come prevede il canovaccio della serie, metteva in fila due o tre cose che, lette con il senno di poi, ci regalano un mirabolante effetto sfera di cristallo».
L’avventura di Obelix e Asterix ha il finale scontato. La vittoria della gara, ovviamente truccata, tra sabotaggi, incidenti e tranelli di ogni tipo, non dovrebbe che andare al romano Coronavirus, che raccoglie le isteriche ovazioni dei tifosi lungo il percorso. Coronavirus (a cui alla fine si era sostituito in segreto Giulio Cesare stesso in un estremo tentativo di salvare l'onore di Roma) verrà invece battuto per un soffio dai nostri eroi, dalla pozione magica e proprio dalle condizioni disastrate delle italiche strade, piene di buche…
Un'immagine inquietante e straniante resta, tuttavia, preveggenza o non preveggenza: le folle disegnate tre anni fa acclamare urlando «Coronavirus-Coronavirus»...
***
Il 24 marzo scorso quasi novantatreenne è morto Albert Uderzo, a Neuilly. Era nato il 25 aprile 1927.
Albert Uderzo alla Zecca di Parigi per la presentazione delle monete dedicate ad Asterix e Obelix (25.3.2015) | internazionale.it/notizie
Asterix, Obelix, Panoramix, Ideafix ... non c’è quasi bisogno di ricordare chi sono, i personaggi di uno fra i fumetti più famosi e venduti al mondo, tradotto in centinaia di lingue e trasposto in una serie di film (impari, a dire il vero, rispetto ai disegni e ai testi originali).
Ora sono senza i loro creatori. Dopo la prematura scomparsa dello sceneggiatore René Goscinny nel 1977, anche il loro disegnatore Albert Uderzo li ha lasciati il 24 marzo scorso. La saga della resistenza - grazie a una pozione magica - della bellicosa tribù di Galli dell’Armorica (l’odierna Bretagna) alla dominazione romana e a Cesare in persona resterà una grande opera non solo finemente umoristica, ma anche carica delle più varie implicazioni, storiche, morali, culturali ... per riandare all’Europa della romanità e a quella dei nostri tempi.
Di Albert Uderzo - a causa del cognome non tanto simile ad "Oderzo" quanto identico ad una attestata più antica denominazione desueta di Oderzo, cioè "Uderzo" - si è con disinvoltura spesso ritenuto che le origini famigliari remote non potessero non essere “oderzine”, anche se i dati inoppugnabili sono la nascita del nostro Alberto Aleandro Uderzo il 25 aprile 1927 a Fismes, nel dipartimento della Marna, in Francia, da genitori italiani immigrati: il padre Silvio Leonardo Uderzo vicentino di Piovene Rocchette, la madre Iria Crestini ligure nata a La Spezia. Risalendo biograficamente oltre il padre dentro l’Ottocento, i dati già diventano più difficilmente reperibili e controllabili.
Lo stesso Albert, al corrente di queste possibili “radici” in territorio della romana Opitergium, avrebbe a vent’anni fatto «un viaggio fino a Oderzo, per visitare i parenti del padre, rintracciando così le proprie origini». Non sono in grado in questo momento di verificare da dove sia tratta questa notizia che riporta Barbara Bisazza (Se Asterix e Obelix sono originari da Oderzo, Il Sole24Ore, 14 luglio 2016 | st.ilsole24ore.com). Documentata è invece la visita fatta decenni fa nella cittadina “dei natali”, come mostra la foto pubblicata (Edition du chène – Hachette-Livre, 2002), «suggestionato dall’ipotesi che i suoi antenati provenissero da un centro relativamente importante in epoca romana, lui che era divenuto famoso per un fumetto ambientato proprio in quel mondo. Questo al punto che nella propria autobiografia si definì scherzosamente il discendente di un bambino salvato tra le rovine della città appena distrutta dai barbari».
Ne ricorda quest'aspetto Andrea Pizzinat, nell'utile articolo "Albert Uderzo e le sue (non più) presunte origini opitergine" pubblicato da poco sull’Azione (5.4.2020) e riportato sul suo blog ciaolord.wordpress.com.
Albert Uderzo a Oderzo | Fonte della foto: Édition du chêne - Hachette-Livre, 2002
L’articolo di Andrea Pizzinat appena citato è pregevole perché non si accontenta di ripetere solamente la vexata quaestio, ma apporta un tassello nuovo e ragionato per l’ “archeobiografia” dei progenitori di Albert Uderzo:
«Dove sta la verità? Maria Teresa Tolotto, conservatrice dell’archivio parrocchiale di Oderzo, ha ammesso che nelle sue ricerche nei registri, compresi quelli civili, non ha ancora riscontrato la presenza di una famiglia Uderzo in città. Però i cognomi uguali a nomi di città sono genericamente di origini ebraiche (si pensi all’ebreo Emanuele Conegliano, nome alla nascita del celebre Lorenzo Da Ponte) ed è fuori discussione che nella comunità ebraica opitergina ci fosse anche una famiglia Oderzo. L’ipotesi ci è stata confermata anche dal dott. Giovanni Tomasi del Circolo Vittoriese Ricerche storiche, studioso delle comunità giudaiche in sinistra Piave, il quale ha aggiunto che nel corso degli anni il cognome ha subito delle variazioni tipo appunto Uderzo o Oidirz (in lingua yiddish). Grazie anche al contributo di un cugino italiano del fumettista contattato dalla Tolotto, si possono tirare queste conclusioni: all’interno delle comunità ebraiche residenti nel territorio opitergino (quindi non necessariamente in città, ma anche per esempio a Portobuffolè) esistevano delle famiglie Oderzo; come spesso capitava emigrarono altrove; un ramo della famiglia residente a Venezia ottenne dalla Serenissima la licenza di effettuare prestiti su pegno in Istria; da lì in seguito si trasferì nuovamente, stavolta a Piovene Rocchette, città natale di Silvio Leonardo Uderzo, padre del disegnatore, il quale a sua volta emigrò in Francia agli inizi del Novecento. Fine della storia.»
![]() |
***
© 2023 am+