A Roma proliferano gli orologi e un servo (nella perduta commedia plautina Boeotia, citato da Gellio nelle Noctes Atticae, 3, 3, 5) si lamenta della sua giornata fatta a pezzi: una volta era solo il suo stomaco a segnare le ore, quando sentiva il bisogno di mangiare, ora sono le meridiane di cui ormai è piena la città ad imporre il ritmo della fame, come tiranni a cui non si può disobbedire.
Ut illum di perdant, primus qui horas repperit,
quique adeo primus statuit hic solarium!
qui mihi conminuit misero articulatim diem.
Nam me puero venter erat solarium
multo omnium istorum optimum et verissimum:
ubi is te monebat, esses, nisi cum nihil erat.
Nunc etiam quod est, non estur, nisi soli libet;
itaque adeo iam oppletum oppidum est solariis,
maior pars populi aridi reptant feam.
Traduzioni
Che gli dei mandino in rovina colui che per primo inventò le ore
e soprattutto chi per primo sistemò qui la meridiana!
Perché ha fatto a pezzi la mia giornata di pover’uomo.
Infatti, quand’ero bambino, lo stomaco era il solo orologio,
per la verità molto più preciso e corretto di tutte codeste diavolerie:
ovunque tu andassi, lui ti invitava a mangiare, anche se non c’era cibo.
Adesso, anche quando vorresti mangiare, non si mangia, se al sole non piace;
e così, ormai tanto è piena di meridiane la città
che la maggior parte del popolo striscia rinsecchito dalla fame.
Vada al diavol colui che inventò l'ore,
E primo pose qui quest' orologio,
Che in sua mal'ora il dì mi spezza in frusti!
Quand'io m'era fanciullo, l'orologio
Era la pancia, più di questi assai
Veritiero, eccellente.
Ad un suo avviso,
Se ce n'era, mangiavasi: ma ora,
Benchè ce n'è, non mangiasi, se prima
Non garba al sole.
E la città già piena
È d'orologi; e intanto la più parte
Son lì affilati che cascan di fame.
© 2024 am+