I caduti

Sante Giuseppe Pedrina (Torre di Mosto, 1895 - Ospedale da campo numero 63, sul fronte trentino, 1916)

Sante Pedrina
 

«Sante Giuseppe Pedrina nacque a Torre di Mosto nel 1895 e morì il 3 agosto 1916, a soli 21 anni, nell’ospedale da campo numero 63, sul fronte trentino, per le ferite riportate in combattimento.
Le uniche prove che testimoniano la sua giovane vita spezzata sono la foto nel quadro commemorativo che veniva richiesto dalle famiglie dei caduti, l’atto di morte conservato nell’archivio di stato civile del Comune di Torre di Mosto e il suo nome scolpito nel monumento ai Caduti davanti al municipio.
Subito dopo la morte vennero inviati alla famiglia gli oggetti personali, tra cui il portafoglio intriso di sangue, che aveva addosso nel momento in cui fu colpito dal fuoco nemico e ormai purtroppo andato perduto»
(Giovanni Monforte, Medaglia commemorativa a Sante Pedrina, «La nuova Venezia», 29/10/2016 | nuovavenezia.gelocal.it/.../medaglia-commemorativa-a-sante-pedrina)

 

Giovanni Sangion (Torre di Mosto, ? - Basso Adriatico, 1917)

Giovanni Sangion di Torre di Mosto
I nostri eroi: Giovanni Sangion da Torre di Mosto (Venezia), capo meccanico, caduto Basso Adriatico, 15 maggio 1917, Edit. Enrico Anselmi, Napoli, 1917 | Cartolina celebrativa con cornice, effigie del soldato e, sul verso, la motivazione delle onorificenze attribuite.
 
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Il monumento ai caduti della Grande Guerra

il 4 novembre del 1922, nella piazza principale di Torre di Mosto, venne inaugurato il monumento eretto in ricordo dei Caduti italiani della Grande Guerra, che si trova ancora sullo stesso sito, di fronte all’ingresso principale del municipio. Della cermonia tenuta quasi cent'anni fa s'è conservato un duplicato con negativo dello scatto originale, conservato nell'archivio del fotografo torresano Renzo Vedovo.

 

Lapide per i caduti austroungarici

Il cimitero di Torre accoglie anche un ossario con i resti di circa 170 caduti austroungarici. Nell’allora cimitero militare, insieme agli austroungarici, erano sepolti anche cinque soldati italiani morti in prigionia a Torre di Mosto (tre ignoti e due noti), i cui resti sono stati poi trasportati a Fagarè, oltre a sei civili, di cui quattro minori militarizzati. «Complice l’incuria del passato, dei caduti austroungarici era rimasta ormai solo l’identità di un "Vitéz" (ossia "soldato valoroso", in ungherese), Laszlo Iaross. Agli altri caduti, un nome e una storia sono stati restituiti dalla ricerca dello studioso locale Silvio Cibinel, in particolare negli archivi anagrafici. Questa "memoria del nemico" ha trovato posto nella mostra in progress "Spuntidistoria", ideata da Lucia Tracanzan, docente di lingua tedesca, ospitata in municipio fino al 2018, insieme con la documentazione tanto della dimensione internazionale del conflitto quanto della specificità che esso assunse nel territorio delle "terre basse tra Livenza, Piave e Sile fino al mare": squarci di vita quotidiana, distruzioni, violenze, vicissitudini dei singoli e delle piccole comunità, in particolare di Torre di Mosto (illustrati con materiali diversi: fotografie, cartoline, immagini di giornali d’epoca, documenti originali come i fogli matricolari o quelli conservati nell’archivio di Stato austriaco...)

 

Ernest Hemingway e Torre di Mosto

Ernest Hemingway e Torre di Mosto, a cura di Luca Ortoncelli e Roberto Pescarollo, Venice Film Padova, 2015 | Fonte: youtube.com/ywJi25tVebU
 

Don innocenzo Zandomenighi, parroco di Torre di Mosto durante l'occupazione autro-ungarica

Nella storia scritta da Monsignor Costante Chimenton, S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella, 1928, è ricostruita anche la vicenda di Don Zandomenighi, divenuto parroco di Torre di Mosto durante l'occupazione austro-ungarica del 1917 (Capitolo IV, pp. 235-241) | sbn.regione.veneto.it

«Don Zandomenighi dopo aver protestato presso il Comando austroungarico di Ceggia, aver subito un interrogatorio ed essere rimasto qualche giorno in cella, era stato nominato a sorpresa parroco di Ceggia dalle truppe occupanti con l’assoluta proibizione di muoversi dal paese...

La mattina però del 22 novembre il decreto fu cambiato: don Zandomenighi, su una carretta di campagna, fu trasportato a Torre di Mosto e nominato, dal Comando ungherese, parroco di quella cura. Era un nuovo metodo di elezione, certamente non conosciuto in Italia.
 
Don Zandomenighi si trasferisce a Torre di Mosto
 
Il sacerdote, diretto a Torre di Mosto, in compagnia di un gendarme, per prendere in consegna la parrocchia, si incontrò, presso i confini del paese, con il colonnello stesso che aveva proposta la sua nomina, il quale, scambiate poche parole con il gendarme, salutò il sacerdote quale parroco di Torre di Mosto, e gli impose, per il giorno seguente, 23 novembre, di far sgombrare e addobbare a festa la chiesa: alle nove del mattino si era fissata, dal Comando supremo, una solenne funzione religiosa per il reggimento ungherese, e don Zandomenighi doveva essere il celebrante in sostituzione del cappellano militare, assente per convalescenza. Giunse a Torre di Mosto verso le ore 15 e si portò a visitare la canonica: la trovò trasformata in deposito di munizioni, guardata da numerose sentinelle che impedivano a tutti l’ingresso. Don Zandomenighi fu accolto provvisoriamente quale ospite presso una buona famiglia del paese.
 
I famigliari di Don Zandomenighi riescono a rintracciare il loro congiunto
 
Intanto ad Isiatta nulla si sapeva di preciso sulla sorte toccata a don Innocenzo Zandomenighi: si era sparsa perfino la voce della sua fucilazione da parte degli Ungheresi, avvenuta a Ceggia o a Torre di Mosto. Fra la disperazione ed il pianto, due cugine e una nipote del sacerdote, dopo tre giorni di un’attesa affannosa, presero la decisione di farne le ricerche: sempre a piedi si portarono a Ceggia, dove poterono conoscere un pò di storia sulle avventure successe al loro congiunto: di poi passarono a Torre di Mosto, dove ormai lo sapevano sano e salvo. Vi giunsero sfigurate dai patimenti, trepidanti per lo spavento, impossibilitate a credere ai loro occhi, quando lo ravvisarono di lontano, calmo e tranquillo, sebbene un po' abbattuto dai patimenti della prigionia e del digiuno prolungato. Lo stesso Comando militare si interessò di fornire al sacerdote ed alla sua famiglia una casa per abitazione, in sostituzione della casa colonica che doveva restare adibita per scopi di guerra; gli fu assegnata la casa della famiglia Rettanin, fuggita nell’interno d’Italia al primo avanzarsi del nemico.
Fu una fortuna per il sacerdote: quella casa, che fu sempre adibita ad uso canonico fino all’armistizio, era composta di varie stanze, e presentava tutte le comodità; fu una fortuna anche per il proprietario, perchè così quei locali furono salvi da quelle requisizioni e occupazioni militari che tanta miseria lasciarono in tutti i paesi invasi dal nemico.
Da quel giorno don Zandomenighi si sistemava a Torre di Mosto con i suoi congiunti, intieramente spoglio di tutto, perfino il breviario che aveva lasciato ad Isiatta nella persuasione di un ritorno; i suoi compaesani, in piccole comitive, presto lo raggiunsero. Durante la sua assenza da Isiatta, gli furono venduti il cavallo, la carrozza e tutto il corredo che era stato trasportato da Passarella. Cominciò per lui il periodo della fame e della miseria, sostenuta, o, meglio, riparata, elemosinando. Non è questa una frase esagerata : rappresenta la triste posizione di don Zandomenighi e di tutti i profughi di Passarella che si trovarono presto separati dal loro parroco e lanciati nelle varie località del Friuli : solo poche famiglie poterono sistemarsi a Ceggia e a Torre.
 
Don Zandomenighi costretto a ristrettezze
 
Don Zandomenighi cominciò a mendicare un pò di indumenti : il povero uomo, in prigione, sopra quel tavolato e quel pò di paglia, aveva assunto una di quelle famiglie eterogenee che rendono assai noiosa e pungente la vita : prima cosa, chiese in elemosina una camicia e un paio di mutande per cambiarsi e mandare i noiosi inquilini in un’altra sede. Ottenne il tutto da una povera donna, che pure fornì di biancheria i famigliari del parroco di Passarella, i quali versavano nelle stesse condizioni. Tutti i giorni poi il buon sacerdote ripetè il servizio di ricerche presso le cucine e i magazzini militari per avere un pò di rancio per sè e per il suo popolo.
Torre di Mosto si poteva definire un concentramento di profughi, stretti, assiepati in tutte le case, sui fienili e nelle stalle; a Torre di Mosto, si erano rifugiati ed avevano trovato ospitalità, in quei primi momenti, profughi di Passarella e di Chiesanuova, escluse poche famiglie che per conto proprio avevano cercato una dimora più tranquilla nei paesi circonvicini. [...]
 
Inizia lo sgombero dei profughi da Torre di Mosto
 
Il 25 novembre il Comando militare impose lo sgombero di Torre di Mosto: i profughi dovevano prendere la via di Latisana, e il Comando stesso si interessò per un trasporto rapido su carri e autocarri.
Molti uomini erano stati già requisiti dall’autorità austriaca, e così il corteo dei nuovi partenti risultava composto, in massima parte, di donne, di bambini, di vecchi, a cui era stato pure requisito gran parte di quel provvigionamento che si era salvato nei primi giorni dell’invasione. – Anche per questi sfortunati nessuna preoccupazione, nessun riguardo: neppure il senso della pietà più elementare per i bambini più teneri o per le spose prossime a divenire madri. La prima notte il lungo convoglio sostò all’aperto fra Ceggia e Torre, in attesa che al mattino giungesse il treno che avrebbe dovuto trasportarlo a Latisana. – Fra gli altri sventurati, la mamma di don Emilio Barrichello, attuale parroco di S. Elena sul Sile: aveva ricevuto, il giorno precedente, gli ultimi Sacramenti, ricoverata per pietà in un fienile. Si domandò con insistenza da don Zandomenighi che almeno si fosse fatta una eccezione per quella vecchia morente; ma si rispose, in tono arrogante: «Deve partire come gli altri! Già deve morire, e morirà in Latisana!». Ma il cimitero di Latisana non accolse la salma di quella vecchia: l’infelice spirò lungo la via e fu sepolta in aperta campagna, presso la stazione di Ceggia.
Un altro caso pietoso. Un vecchio di ottant’anni, certo Callegher, con la figlia e tre nipoti, non si sentì di affrontare le nuove peripezie della profuganza; si rifugiò nel sottoscala della nuova casa canonica e vi rimase chiuso otto giorni, uscendo unicamente di notte per cuocere un pò di polenta. È facile immaginare in quali condizioni dovette trovarsi quella famiglia, composta di cinque persone, tutta chiusa, in un piccolo vano di sottoscala, senz’aria e senza luce.
 

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Hauptplatz in Torre di Mosto 8.9.1918
Hauptplatz in Torre di Mosto 8.9.18 | Piazza principale di Torre di Mosto (Reparto fotocinematografico dell'esercito austro-ungarico) | Fonte: bluestenyeyes.altervista.org/.../Torre-di-Mosto-1
 
An der Livenza Torre di Mosto 16.9.1918
Torre di Mosto nel settembre 1918, durante l'occupazione austro-ungarica | Fonte: bluestenyeyes.altervista.org/.../Torre-di-Mosto-2
 
Torre-di-Mosto-durante-occupazione-austro-ungarica-24.11.1917
Torre di Mosto, durante l'occupazione austro-ungarica, 24/11/1917 | Fonte: live.staticflickr.com/5453/18236707623_d05f30128b_h | c7.alamy.com/.../aus-torre-di-mosto-24-11-17-bildid-15612249-kc0egh

Fonti