Sui giorni di passaggio tra gennaio e febbraio non mancano leggende e tradizioni che ancora si festeggiano qua e là sul territorio. Sono in particolare gli ultimi tre giorni di gennaio dal 29 al 31 (oppure, scalando di un giorno, gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio), i cosiddetti giorni della merla, "i più freddi dell'anno", e il 2 febbraio, la candelora.
Della candelora ho già avuto occasione di parlare nel 2020 all’inizio della pandemia quando la data "02.02.2020" ricorreva – evento molto raro – in forma palindroma (che non cambia cioè se viene letta da sinistra a destra o viceversa; dal greco antico πάλιν, pálin, «di nuovo», e δρóμος, drómos, «percorso», «che può essere percorso in entrambi i sensi»). → 02.02.2020 La candelora palindroma
Ora vorrei proporvi un excursus sui giorni della merla.
Già per la candelora si tramandano numerosi proverbi dialettali meteorologici − in ogni regione − cui si attribuisce una capacità di prevedere la fine dell'inverno, anche in contrasto fra loro (cfr. it.wikipedia.org/wiki/Per la santa Candelora se nevica o se plora dell'inverno siamo fora).
Il più noto da noi è: Da la Madona Candeòra | de l'inverno semo fora; | ma se xe piova e vento, | de l'inverno semo drento (o nella quasi corrispondente vulgata triestina: La Madona Candelora, se la vien con sol e bora | de l'inverno semo fora; | Se la vien con piova e vento, | de l'inverno semo drento).
Un po' più movimentata e scettica suona però una sua continuazione:
«Ma – disse il villano alla Candelora – acqua o neve venga giù, che l'inverno non c'è più».
Disse allora il bove: «che nevichi o che piova, l'inverno se ne va quando l'erba è sulla proda».
Disse il vecchio infreddolito: «l'inverno non se ne va prima di San Vito».
Disse la vecchia col caldano: «l'inverno starà finché la foglia di fico come un palmo sarà».
Si voltò l'asino e disse: «non viene il caldo finché tra le stoppie non spunta il cardo».
Rispose la strega: «è cosa sicura che l'inverno arriva quando arriva e dura fin che dura».
Analogamente, osservando le condizioni meteorologiche dei tre giorni della merla, si credeva che sulla base di esse i contadini potessero strologare previsioni sul tempo dei mesi di gennaio, febbraio e marzo. La fondatezza scientifica e statistica non è più questione che meriti di essere discussa attualmente, tanto sono grandi le "anomalie" climatiche verificatesi nei secoli e in questi ultimi anni. Un fondamento empirico possiamo tuttavia immaginarlo per le epoche in cui si può essere formata la credenza.
Altri vecchi adagi in terra della "Serenissima" si dimostrano più attenti ai consigli "salutistici" che alle previsioni del tempo: Se i giorni de la merla fa un fredo beco, | mescola un goto de graspa a un'ombra de proseco. | Ma se per caso te si piutosto vecio, | ciapa su on libro e ficate in leto.
Perché i giorni della merla si chiamano così?
Lasciando perdere la lotteria meteorologica, conserva un qualche interesse folcloristico chiedersi perché i giorni della merla si chiamino così.
Si dispone di una serie di nuclei narrativi smontabili e rimontabili che possono generare svariate combinazioni, alcune più consequenziali, altre sconclusionate.
Un nucleo sorgivo favolistico, ma non autosufficiente, sembra quello remoto del "merlo beffato" (ancor oggi si dà del "merlo" a qualcuno se è ingenuo, credulone, sciocco): il merlo avendo trascorso un gennaio molto temperato e dolce, e vedendo una giornata soleggiata e calda, si credette l’inverno già finito e fuggendo dal suo padrone gridò: «Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno!», per pentirsene subito dopo perché si mise a nevicare e la stagione divenne ancora rigida.
Una risonanza quasi letterale di un detto fattosi proverbiale si affaccia anche in un verso di Dante, nell'episodio del XIII canto del Purgatorio, in cui la nobildonna senese Sapìa Salvani espia il proprio peccato insieme con le anime degli invidiosi della II cornice, patendo – come contrappasso – di avere gli occhi cuciti. Richiesta dal poeta di raccontargli di sè, confessa (vv. 119-123):
... e veggendo la caccia, | letizia presi a tutte altre dispari, | tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia, | gridando a Dio: «Omai più non ti temo!», | come fé 'l merlo per poca bonaccia.
La parafrasi di questi versi si può rendere così: vedendo l’inseguimento [dei senesi sconfitti e messi in fuga dai fiorentini a Colle di Val d'Elsa], mi abbandonai a una gioia senza pari, tanto che io sollevai il viso al cielo, con atteggiamento di sfida, e gridai a Dio «Ormai non ti temo più!», proprio come il merlo che in inverno canta [come se fosse già primavera] dopo solo pochi giorni di sole.
Il v. 123 avrà certo alle spalle un'arcaica reputazione del merlo come animale sciocco, in questo caso perché, quando in pieno inverno fa un po' di bel tempo (poca bonaccia), se la canta come se l'inverno fosse passato: «Più non ti curo, Domine, ché uscito son del verno». Che Dante adombrasse qui, però, la diceria sui giorni della merla, indicante proverbialmente i giorni di gennaio più freddi dell'anno, è un'interpretazione non solo troppo estensiva ma soprattutto non necessaria a giustificare la scelta della similitudine usata per Sapìa, un'estrapolazione che anzi la fa fraintendere. Non si dimentichi che di sè la donna aveva appena detto (vv. 109-11): «Savia non fui, avvegna che Sapìa | fossi chiamata, e fui delli altrui danni | più lieta assai che di ventura mia» (Nella mia vita non fui saggia, nonostante mi chiamassi Sapìa, e fui sempre contenta delle disgrazie altrui più che della mia buona sorte); e al verso 113 aggiungerà: «odi s'i' fui, com'io dico, folle» (ascolta come fui sconsiderata). Dante cesella qui una figura retorica etimologica "savia (=saggia)" e "Sapìa (=saggia)" (termini che derivano entrambi dal verbo latino sapĭo, sapĕre, «aver sapore» ma anche «essere saggio») e l'antitesi tra saggezza e follia, che s'instaura tra gli aggettivi savia (v. 109) e folle (v. 113). Perciò, il merlo scomodato nella similitudine è da pensare coerentemente entro questo alone di significati alti, non certo per i giorni della merla.
Comunque sia, quel «Più non ti curo, Domine, ché uscito son del verno»[1] può ben esser servito ad innescare l'immaginazione fiabesca per le leggende della merla, la maggior parte legate a una merla femmina "bianca" (in natura, oltre al classico merlo corvino presente in gran numero anche nelle nostre città, esiste una versione candida molto rara, una marroncina e una striata bianca e marrone). Dei puzzle componibili e scomponibili possiamo vedere subito gli esempi, come già detto, di un nucleo minimale o di una favola più articolata:
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Una merla per ripararsi dal gran freddo si rifugiò con i suoi pulcini dentro un comignolo e, rimasti al caldo per tre giorni, quelli più freddi, recuperarono forze e sopravvissero, riemergendo il primo di febbraio tutti neri (o grigi) a causa della fuliggine.
Essendo l'unica merla rimasta in vita diversamente da altri uccelli non sopravvissuti, diede vita a una stirpe di merli neri, che infatti sono i più diffusi. Qui potremmo leggere un tentativo fantasioso di interpretazione del «forte dimorfismo sessuale che si osserva nella livrea del merlo (turdus merula), che è bruna/grigia (becco incluso) nelle femmine, mentre è nera brillante (con becco giallo-arancione) nel maschio» ← Associazione Ornitologica Veneto Orientale | Summa Gallicana) -
Una merla dal bellissimo piumaggio bianco (i merli, in origine, non sarebbero stati neri, ma avrebbero avuto le piume candide e soffici come la neve) era regolarmente strapazzata da Gennaio, mese freddo e ombroso, il quale si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo.
La merla gli aveva chiesto di essere più breve, ma non era riuscita a convincerlo né a farlo desistere. Per l’anno successivo, stanca della continua persecuzione, decise di fare provviste sufficienti per 28 giorni (tale era allora la durata di gennaio) e si rintanò nel suo nido al riparo per tutto il mese.
Arrivato l'ultimo giorno, sperando di aver ingannato il cattivo Gennaio, uscì dal nascondiglio e svolazzava cantando e fischiando per sbeffeggiarlo. Il permaloso Gennaio per vendicarsi chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, pioggia. La merla per resistere a tanto gelo si riparò in un comignolo per cui saliva il caldo fumo di un camino acceso, acquattata per tre giorni.
Esaurita la bufera, uscì e riprese a volare. Era sì salva, ma la fuliggine aveva irrimediabilmente annerito (o ingrigito, secondo altro racconto) le sue belle piume bianche e da quel momento i merli sarebbero rimasti per sempre di questo nuovo colore.
Ê innestato qui un prerequisito di ordine storico: una diversa remota configurazione del calendario dei mesi. Per capire una richiesta di prestito di tre giorni di gennaio a febbraio, occorre figurarsi un tempo in cui gennaio avesse solo 28 o 29 giorni, come nel calendario arcaico romano cadenzato originariamente su base lunare e poi luni-solare (anche se febbraio in verità non ne ha mai avuti 30 o 31 da poterne cedere tre...). Nella riforma di Numa Pompilio (VIII sec. a. C.) quando furono inseriti i due nuovi mesi Ianuarius e Febrarius, il mese di gennaio contava solo 28 giorni. Col calendario "giuliano" (introdotto da Giulio Cesare, pontifex maximus nel 46 a. C.) gennaio divenne di 31 giorni mentre febbraio di 28.[2] -
In apparenza più realisticamente ambientata in un inverno molto rigido in una Milano "di tanto tempo fa", è la storia, molto simile a quella sopra citata, di una famigliola di merli.
Tutta la città, le strade, i giardini erano coperti dalla neve scesa copiosa. Dentro il nido sotto la grondaia di un palazzo in Porta Nuova, mamma merla, papà merlo e tre piccoli uccellini nati dopo l’estate (che a quel tempo avevano le piume bianche come la neve) soffrivano il freddo stentando a sfamarsi, perché le poche briciole di pane che cadevano in terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve. Per non morire tutti di fame e di freddo, al papà merlo dopo qualche giorno senza nulla da mangiare non restò che una decisione: partire a cercare il cibo dove la neve non era ancora arrivata. E comunicò alla moglie che intanto l'avrebbe aiutata a spostare il nido sul tetto del palazzo, a fianco del camino, per aspettare il suo ritorno senza patire freddo.
Avvicinato il nido al camino e partito il papà, la mamma e i piccoli poterono scaldarsi tra loro e grazie al fumo che usciva tutto il giorno. Tornato a casa dopo tre giorni, il papà quasi non riuscì più a riconoscere la sua famiglia, perché il fumo nero aveva tinto del suo colore tutte le piume degli uccellini. Per fortuna da quel giorno l’inverno si fece meno rigido e i merli riuscirono a trovare cibo sufficiente per arrivare alla primavera. Da allora però tutti i merli nascono con le piume nere e, per ricordare la famigliola di merli bianchi divenuti neri, gli ultimi tre giorni del mese di gennaio sono detti “i tre giorni della merla”.
Altre arzigogolature pseudostoriche
Sul perché del nome dei "giorni della merla" altre arzigogolature rievocano fatti pseudostorici, apparentemente verosimili ma non documentati, o di evidente invenzione.
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Entro la cornice del reale passaggio dal calendario istituito da Numa a quello giuliano riformato, si è immaginato che, al tempo di Mediolanum, Giulio Cesare di ritorno dalle Gallie avrebbe incaricato un certo Cornelio Merula, sacerdote del sommo Giove nonché valente astronomo, di riformargli il calendario. La soluzione escogitata fu prendere a prestito tre giorni di febbraio e aggiungerli a gennaio, chiamati perciò i giorni "di Merula", ma poi – storpiati dal popolino come fa di solito con i nomi di cui non intende bene o non ricorda più il significato – ribattezzati ... "di Merla". ← milano.corriere.it/.../i-tre-giorni-merla-tutta-colpa-giulio-cesare.
A parte questo sconosciuto sacerdote-astronomo Merula, bisogna avvertire che merula – in latino sostantivo solo femminile, come lo è avis, il nome della classe degli uccelli – designa tanto il maschio quanto la femmina, mentre in italiano si è sdoppiato in merlo al maschile e merla al femminile. Il passaggio da merula all'italiano merla femminile si sarà dato facilmente, anche senza storpiatura di un ignorante popolino. -
Altre leggende meno note o tramandate solo in ambiti locali sono legate al territorio e non all’animale.
A essere protagonisti in una di queste sono due giovani sposi, Merlo e Merla. Una volta celebrate le nozze al di là del Po, per tornare a casa propria dovrebbero riattraversare il fiume, ma le condizioni climatiche avverse li bloccano a casa di alcuni parenti. Dopo tre giorni la coppia decide di attraversare il fiume ghiacciato. Merla ci riuscì, perché era leggera, ma Merlo ruppe il ghiaccio con il suo peso e morì sprofondando nelle acque gelide.
Il pianto di Merla fu inconsolabile: si dice che lo si senta ancora nelle notti di fine gennaio, scambiato per i sibili del vento. In ricordo di questa tragedia, le giovani in età da marito si recavano sulle rive del Po in quegli stessi giorni per cantare una canzone propiziatoria, il cui ritornello dice: «E di sera e di mattina la sua Merla poverina piange il Merlo e piangerà». -
Il fiume Po completamente gelato è coprotagonista anche di due altre storie, che si ricavano da un libro del 1740 di Sebastiano Pauli (Modi di dire toscani ricercati nella loro origine, Appresso Simone Occhi, Venezia, MDCCXL, p. 341). Nell'una, bellica, ad esempio, si doveva far passare oltre il fiume un cannone molto grande, chiamato la Merla. Per trasportarlo più facilmente, gli uomini aspettarono gli ultimi giorni di gennaio per farlo scivolare sul ghiaccio del fiume gelato. Nell'altra, di nuovo matrimoniale, invece, una nobile Signora di Caravaggio, che veniva chiamata De Merli, doveva attraversare il fiume Po per andare a prendere marito, ma riuscì a farlo solo nei giorni in cui il fiume era ghiacciato.[3]
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Ne mancano infine alcune sempre in area padana a proposito di una cavalla Merla e ancora del fiume ghiacciato, molto deludenti non tanto perché tragiche nell'esito ma soprattutto perché nessun insegnamento mi sembra che se ne possa trarre (← Il mondo del Forna (Blog di Paolo Fornasari): quella di un contadino della pianura Padana, che, attraversando un fiume gelato con il carro trainato dalla cavalla Merla, è inghiottito dalle acque gelide a causa della rottura del sottile strato di ghiaccio; oppure l'altra su uno dei duchi Gonzaga (ma in alcune versioni è Napoleone) che doveva attraversare il Po.
Questo Gonzaga, bisognoso di un riposino, avvertì il suo servo, alla guida del carro, di svegliarlo quando fossero giunti al fiume. Il servo, arrivato sulle sponde del Po, vide che per il freddo intenso degli ultimi giorni le acque erano ghiacciate e, pensando di fare cosa gradita al duca, incitò la sua cavalla, chiamata Merla, per passare col carro sulla lastra ghiacciata. Siccome giudicò la traversata alquanto agevole, non ritenne necessario svegliare il suo padrone. Quando il Gonzaga si destò, il servo gli disse trionfante che «la Mèrla l’ha passà al Po», facendo montare su tutte le furie il Duca, poiché non aveva obbedito ai suoi ordini. Arrivato a destinazione, lo fece impiccare.
Si poteva finire peggio di così, essendo partiti dalla patetica storia di una merla?
NOTE
- [ ⇑ ] Il detto è riportato anche da Franco Sacchetti nel suo “Il Trecentonovelle” (1399) nella novella CXLIX sull’abate di Tolosa così riassunta: Uno abate di Tolosa con una falsa ipocrisia, facendo vita che da tutti era tenuto santo, fu eletto vescovo di Parigi, là dove essendo a quello che sempre avea desiderato, facendo una vita pomposa e magnifica, si dimostrò tutto il contrario, recando molto bene a termine li beni del vescovado. (it.wikisource.org/.../Il_Trecentonovelle/CXLIX)
- [ ⇑ ] La leggenda dello scambio di giorni tra gennaio e febbraio è occasione almeno per un rapido cenno all'evoluzione del calendario romano. I Romani antichi si accorsero presto che il calendario lunare romuleo di dieci mesi (Martius, Aprilis, Maius, Iunius, Quintilis, Sextilis, September, October, November, December) era troppo breve (304 giorni) rispetto a quello solare ed inutilizzabile per prevedere l'inizio del susseguirsi delle stagioni. Ad una riforma di tale calendario per farlo coincidere con quello solare mise mano - come tramanda la leggenda - il successivo re Numa Pompilio, aggiungendo due mesi dopo dicembre (il decimo): Januarius (sacro a Giano, dio dell'inizio) e Februarius (dal verbo februare, purificare, perché terminando il vecchio anno con febbraio i cittadini celebravano una grandiosa cerimonia di purificazione). A gennaio assegnò 29 giorni e a febbraio 28. L'anno prendeva una durata di 354 giorni, aumentati di uno poiché a Roma si consideravano di grande sfortuna i numeri pari. Per rimediare alle sfasature comunque irrisolte si aggiungeva ogni tanto (in teoria ad anni alterni) un mese intercalare detto Mercedonius o Mensis Intercalaris di 27 giorni, che seguivano i primi 23 o 24 giorni del mese di febbraio (allora ultimo mese dell'anno) che nel caso di intercalazione veniva accorciato opportunamente, non senza però arbitrii dei pontefici massimi (a cui spettava farlo) per ragioni politiche. Solo il calendario giuliano (46 a.C.) si modellò sul ciclo solare delle stagioni, fissò l'inizio dell'anno al 1° gennaio, eliminò il mese di mercedonio e introdusse l'anno bisestile. Durò in Europa occidentale fino al calendario gregoriano introdotto il 4 ottobre 1582 dal papa Gregorio XIII con la bolla papale Inter gravissimas. Nel mondo contemporaneo è il calendario solare ufficiale di quasi tutti i paesi del mondo.
Ultima curiosità: il nome "calendario" deriva da Kalendae. Ogni mese dell'anno era suddiviso non in settimane o periodi ricorrenti di uguale durata, ma era scandito in tre momenti, quello fisso delle Calende / Kalendae (sempre il 1° giorno del mese) e quelli mobili delle None / Nonae (il 7° o il 5°) e delle Idi / Idus (il 15° o il 13°) in base alle quali si stabilivano i vari giorni contandoli dopo le Kalendae come antecedenti appunto alle None, alle Idi e alle nuove Calende.
Un esemplare affrescato di calendario romano (del 60 a.C. circa, prima dell'avvento del calendario giuliano), rinvenuto ad Anzio in una cripta sotto quella che fu poi la villa di Nerone, è quello che segue, Fasti Antiates Maiores:
Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Fasti_Anziati
Da notare la presenza di una settimana da otto giorni (lettere latine A-H) dei mesi Quintilis ("QVI") e Sextilis ("SEX"), oltre al mese intercalare ("INTER") nell'ultima colonna a destra: sono visibili anche le None ("NON"), le Idi ("EIDVS") e le lettere nundinali. Sul calendario sono inoltre evidenziate le festività: ad esempio, il 27 agosto (lettera C di sextilis) è riportata la Volturnalia mentre il 19 ottobre (lettera E di october) è riportata l'Armilustrium. In basso sono visibili i giorni totali del mese: XXXI, XXIX, XXIIX (febbraio) e XXVII (intercalare) | it.wikipedia.org/wiki/Calendario_romano
Qualche riferimento per approfondire:- Giovanni Armillotta, I calendari: dall’antica Roma al mondo attuale | generazione-x.net/.../i-calendari-dallantica-roma-al-mondo-attuale
- Il calendario romano | unisalento.it/.../CALENDARIO_ROMANO
- Fatti e curiosità sul calendario gregoriano | focusjunior.it/scuola/storia/calendario-gregoriano-fatti-e-curiosita
- Il calendario romano. Come nasce? | mymayowentcrazy.com/il-calendario-gregoriano-come-nasce-e-come-ci-siamo-arrivati
- [ ⇑ ] Sebastiano Pauli, Modi di dire toscani ricercati nella loro origine, Appresso Simone Occhi, Venezia, MDCCXL | books.google.it/books?id=F5uWPXz5kTcC | Leggi pdf
Testualmente Sebastiano Pauli riferisce così (p. 341): «I milanesi sogliono ancora oggi chiamare gli ultimi tre giorni di Gennaio “I giorni della Merla” in significazione di giorni freddissimi. L’origine del qual dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s’aspettò l’occasione di questi giorni: ne’ quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all’altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne’ quali passò sovra il fiume gelato».
Un finalino storico-fotografico sui grandi fiumi ghiacciati a gennaio-febbraio...
Fonti: Il Piave ghiacciato nel febbraio del 1929 a San Donà di Piave, a meno 20 gradi | facebook.com/fiumepiave/posts | L'eccezionale febbraio del 1929: Europa paralizzata dal gelo, Italia irriconoscibile. «meteolive.it», 31/1/2017 | meteolive.it/.../l-eccezionale-febbraio-del-1929...
- focusjunior.it/scuola/storia/calendario-gregoriano-fatti-e-curiosita
- cremonasera.it/cronaca/strani-giorni-della-merla...
- terreceltiche.altervista.org/giorni-merla