L’interesse creatosi attorno alla mostra di Paris Bordon aperta al Museo di Santa Caterina a Treviso (dal 16 settembre 2022 al 15 gennaio 2023) è il clima adatto per inserire la conferenza e la presentazione delle immagini, che si terranno a Treviso presso la Sala Rosso Coletti del Museo di Santa Caterina, il 21 dicembre prossimo (sotto l’egida del Comune di Treviso, dei Musei Civici trevigiani e dell’Ateneo di Treviso), come anticipazione di una ricerca in corso di Guerrino Lovato, Maria Teresa Tolotto e Claudio Rorato, su una nuova ipotesi attributiva degli affreschi esterni del 1524 e 1525 che ornano i palazzi Saccomani e Salvini a Oderzo.

Ogni occasione espositiva come questa straordinaria su Paris Bordone - che sistematizza il punto di approdo della ricerca critica allo stato attuale – può e deve suscitare anche sollecitazioni ad andare oltre, a riverificare e percorrere-ripercorrere i fondamenti del già noto, a non impedirsi nuove perlustrazioni.

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Vedo in questa luce l’ “incursione” del vulcanico iconologo Guerrino Lovato, che ho potuto conoscere nella godibilissima conferenza di domenica 4 dicembre a Oderzo a proposito della rappresentazione nell’arte della figura della “levatrice incredula” presente nelle scene della Natività, ispirate dalla narrazione del Protovangelo di Giacomo e della Legenda Aurea.

Guerrino Lovato, in campo iconografico, agisce con l’occhio e il fiuto di un detective che - estraendo dal proprio interno database popolato di migliaia di iconografie ed iconologie pittoriche e scultoree - compara esemplari, stili individuali e di scuola, simbologie ed allegorie profane e sacre, il tutto rapportato alle culture storicamente determinate che le producono e a cui vanno commisurate. Reduce dall’aver visitato la mostra trevigiana dedicata a Paris Bordon, è da pensare così l’eureka che deve essergli scattato quando, esaminando quel che resta visibile degli affreschi della facciata esterna di Palazzo Saccomani in Piazza Grande e di Palazzo Salvini in Via Umberto I, questi gli hanno evocato uno stile ri-conosciuto: il nome del frescante a cui attribuire i dipinti – rimasto finora irrisolto ma con la probabilità che sia lo stesso per entrambi gli edifici – non avrebbe potuto essere proprio Paris Bordone?

Guerrino Lovato ha chiesto collaborazione a Maria Teresa Tolotto per una articolata “indagine” d’archivio. La sola “illuminazione” iconografica e stilistica non poteva bastare. Per insistere sull’ipotesi attributiva era indispensabile stanare qualche fondamento storico-documentale.
A una settimana dall’appuntamento di presentazione dei risultati di questo lavoro al Museo di Santa Caterina a Treviso, ho chiesto – all’esperta archivista e studiosa di storia locale sia laica sia ecclesiale – che cosa e come abbia ricercato e come e se sia riuscita a corroborare la pista “Paris Bordon”.
Tolotto non è stata avara di informazioni, com’è suo stile e come le detta il suo piacere di condividere le conoscenze e i dati storici che spesso “resuscita” col suo scavo archivistico.

«Guerrino Lovato ha visto nelle immagini, o meglio in quel che resta di quelle immagini, la mano e la fantasia “costruttiva” di un giovane genio quale il Paris. Ha affiancato l’esame di stampe di inizio '500 (essendo le date ricavabili dai due palazzi opitergini il 1524 e il 1525) per cogliere la composizione e il messaggio iconografico che il committente voleva esprimere con questo lavoro. Ma soprattutto ha riletto le immagini contestualizzandole nella storia della città e di alcuni elementi con i quali questa da sempre convive, primo tra tutti l'acqua e – in questo caso, ancor più specificamente - i mulini.

Dal canto mio ho riveduto i documenti, per altro già pubblicati in calce al catalogo stampato nella precedente mostra a Treviso su Paris Bordon, “Codice diplomatico bordoniano”, curato da Giorgio Fossaluzza (in Paris Bordon, Catalogo della mostra - Treviso 1984, A cura di Eugenio Manzato, Electa, Milano, 1984, pp. 115-140) nel quale sono riportati i documenti d'archivio relativi al pittore e la biografia scrittane dal Vasari.

La rilettura è partita per cogliere, in prima analisi, chi e in quali fondi questi documenti erano conservati, per capire se il Paris avesse un Notaio di riferimento con il quale stendesse atti e commesse; e congiuntamente continuare a consultare quel fondo se per caso c'erano dei collegamenti con Oderzo. Sono passata poi - visto che solitamente non usa lo stesso notaio se non per cose strettamente private e relative alle sue proprietà - a considerare tutte le informazioni che queste trascrizioni potevano darci. Non ho tralasciato né il carattere dell'artista come emerge dalla biografia (che lo descrive come uomo schivo, non incline ad ingraziarsi i clienti e per questo costretto ad accogliere tutti i lavori che gli si presentavano) né le diverse commesse che gli sono arrivate attraverso i parenti della moglie che avevano relazioni di parentela con pittori.

Partendo da questa considerazione, supportata dal fatto che anche alla stesura del suo testamento la moglie di Paris sceglie un cugino della famiglia dei Licino (Arrigo Licino) per controfirmare le sue volontà e che in Augusta (Augsburg, in Baviera) lavorarono sia il Paris che Giulio Licino, figlio di Arrigo, ho cercato di definire le tre diverse botteghe (Paris, Licino e Pordenone) e le possibilità di una collaborazione tra loro. 

Cosa che si è subito presentata ardua perché il Vasari confonde la vita e le opere dei Licino con Pordenone (Zanantonio Licino da Pordenone, dove pare sia nato, con Zanantonio de Sacchis detto il Pordenone). Consultati altri biografi, la questione non si è chiarita del tutto ma ci ha permesso di fare altre supposizioni che attendono sicuramente la conferma di documenti da cercare con pazienza nei fondi notarili …

Tra queste in particolare abbiamo soppesato anche la possibilità di collaborazione ipotizzabile in Oderzo nei primi anni della vita lavorativa di Paris, perché le date 1524-1525 dipinte nei due palazzi opitergini riflettono il modo con cui egli firmava le sue opere posponendo alla sua firma la data in numeri romani. Altro riscontro che ha attirato la nostra attenzione è poi quello che ci hanno aperto gli Estimi della città di Oderzo del 1550, conservati presso l’Archivio di Stato di Treviso. Chi era e a quale famiglia apparteneva lo “Zanantonio depentor”, registrato tra i residenti nella piazza di Oderzo in affitto dal signor Barbieri? Documenti come “stati delle anime” e “libri canonici” della parrocchia di Oderzo non ci possono aiutare, perché cominciano dopo il 1565. Quest’inquilino di Oderzo potrebbe essere il pittore Zanantonio Licino (di cui il Vasari ricorda che negli anni tra il 1520 e 1525 fu costretto, a causa di “pestilenze” non ben definite, a lavorare nel contado per “contadini” dove esperimenta e si specializza negli affreschi) e Paris potrebbe già aver lavorato con lui?»

Maria Teresa Tolotto ha chiaro che molti sono ancora i punti in sospeso e molte verifiche sono ancora da fare, ma dà senso al suo essersi impegnata in questi termini: «provo a percorrere altre strade per capire se queste possano portare ad ampliare le conoscenze, per evitare non le medesime conclusioni, fatte da autorevoli critici d'arte, ma per non ripetere, come è capitato per la “confusione” fatta dal Vasari che si è trascinata fino agli inizi del 1900, la “perpetuazione” di errori e confusioni».

Le anticipazioni di Tolotto generano appeal sufficiente per non mancare alla conferenza. Ci aspettano anche le attese analisi e interpretazioni iconologiche comparate che curerà Guerrino Lovato (sulle quali non vogliamo togliere la sorpresa).